La rosa bruciata
22 aprile
La nostra rosa nasce, come tante altre, in un qualche vivaio d’oltralpe. Importata insieme ad altre mille, giunge in un grande garden center dell’hinterland milanese, meta, a primavera, di centinaia di appassionati del verde. Ci colpisce per il colore dei fiori, appena accennato dai numerosi boccioli presenti e assicurato da un vistoso cartello plastificato con indicazioni in più lingue: olandese, inglese, tedesco e francese. La lingua italiana, no: andiamo bene come mercato, ma non meritiamo la traduzione. Dei simboli ci indicano l’altezza, la posizione consigliata, il periodo di fioritura (è una rfiorente e fiorisce da maggio a ottobre) e ci avvisa che non è indicata come pianta alimentare.
Sorridiamo e ce la portiamo a casa, garantiti più che dal cartello, dalla presenza di un vaso alto e stretto – ben 20 cm- in cui le radici possono sprofondare, almeno fino al rinvaso.
Il prezzo è buono -circa di 10 euro- e la vigoria ci sembra una buona promessa per una pianta che dovrà fare bella figura di sé su un terrazzo come il nostro, toccato dal sole soltanto al mattino.
La mettiamo in una posizione luminosa e la bagniamo senza preoccuparci troppo di dove andremo a porla: sarà probabilmente in una delle grandi fioriere di cui disponiamo, ma… oggi non abbiamo voglia di sporcarci le mani, forse domani.
La pianta è bella, alta più di 40 cm, con foglie verde scuro cuoiose; non ha parassiti né presenta alcuna forma di malattia fungina. Questo ci rincuora e ci fa prendere alla leggera il rinvaso che viene sistematicamete rimandato.