Le piante carnivore
Non è difficile, visitando un vivaio, di imbattersi in alcune piante carnivore, affascinanti quanto originali nel loro modo di vivere e procurarsi il cibo. Il loro fascino deriva in gran parte dal fatto di essersi evolute in modo diverso dalle altre piante, cercando i nutrienti necessari al loro sviluppo invece che nel terreno negli insetti.
Originarie di ambienti molto inospitali, dove le sostanze organiche sono rare o assenti, queste piante si sono dovute evolvere mettendo a punto particolari strategie con cui catturare le prede e digerirle. Siamo quasi su un pianeta diverso da quello vegetale a cui siamo abituati: queste piante non sfruttano gli insetti per l’impollinazione, ma se ne nutrono, catturandole e digerendole.
Non si affidano quindi ai batteri e alle muffe del suolo per assorbire nutrienti già metabolizzati, ma metabolizzano da loro i piccoli animali che sono in grado di catturare. Si tratta per lo più di piccoli insetti che vengono attirati e poi intrappolati sfruttando meccanismi molto singolari.
Le strategie messe in atto sono diverse: possiamo dividere queste piante in base al tipo di trappola impiegato. Vi sono infatti
- trappole a scatto,
- trappole adesive,
- trapone a pozzo
- trappole a risucchio.
Tutte le trappole sono associate a colori, odori, enzimi atti ad attirare la preda inducendola a entrare nella trappola.
Una trappola a scatto
Al primo tipo (trappola a scatto) appartiene la Dionaea in cui due foglie modificate formano una specie di bocca che si chiude velocemente intrappolando il malcapitato insetto che vi si dovesse posare. In questo meccanismo possiamo vedere un rudimentale “sistema nervoso”, ovvero la capacità di avvertire la presenza di un insetto nella trappola e la capacità di muovere velocemente le foglie per intrappolarla.
Non è una muscolatura propriamente detta: possiamo osservare un’analoga reazione nelle foglie della mimosa pudica, quella piantina a cui, se tocchiamo le foglie, le vediamo chiudersi rapidamente. Si tratta di una reazione chimica di una particolare fibra, evoluzione essa stessa di quella reazione che fa aprire e chiudere i fiori o orientare le foglie, o far ruotare il capolino del girasole.
Ma qui troviamo concentrate queste caratteristiche e non possiamo che rimanerne affascinati.
Come la carta moschicida
Una tipica trappola adesiva è quella della Drosera le cui foglie producono un liquido luccicante e adesivo che attrae gli insetti. Questi, una volta posati, non riescono più a staccarsene e la pianta ha tutto il tempo per assorbirla. Ci sono piante anche nostrane che sfruttano questo sistema. In Italia abbiamo la Proboscidea louisianica (una pianta di origine americana chiamata normalmente “artigllio del diavolo”), un’erbacea annuale le cui foglie sono coperte da una resina appiccicosa (e di odore sgradevole) su cui gli insetti restano appiccicati e che vengono assorbiti dagli stomi fogliari. Questa trappola potrebbe apparire banale se non fosse per il fatto che le foglie, oltre a produrre la resina, sono in grado di digerire l’insetto come farebbero con un fertilizzante fogliare.
Le trappole “a pozzo”
E poi ci sono le piante che hanno trasformato e conformato le loro foglie in vere trappole senza uscita, quelle cosiddettte “a pozzo”. L’insetto entra, attirato da odori, colori, enzimi particolari, e non riesce più a uscirne; e nel fondo del pozzo, un vero sistema digerente simile, idealmente, a uno stomaco (anche nella forma). In realtà il fondo è pieno di acqua e batteri che, in simbiosi con la pianta, svolgono la funzione di digestione. Parliamo delle piante del genere Sarracenia dove le foglie sono conformate a formare un tubo, e Nepenthes, i cui “stomaci” pendono dai fusti. Affascinanti e inquietanti insieme.
A risucchio
Esiste anche un altro modo per catturare l’insetto ed è quello utilizzato, ad esempio, dalla Utricularia, un genere di piante che vanta ben 215 specie e che dispone di un sistema molto sosfisticato. L’utriculo (nome della trappola che deriva dal latino e significa piccolo otre, bottiglia) ha pareti sottili ed elastiche e la forma di una fava: al suo interno si forma il vuoto. La trappola prevede un’apertura circolare mantenuta normalmente chiusa da una membrana elastica e dalla produzione di mucillagini zuccherine che hanno il compito di attirare la preda. Quando questa si avvicina la “bocca” si apre e l’acqua viene risucchiata, trascinando all’interno la preda che viene digerita da particolari enzimi. Mentre per la digestione sono necessarie alcune ore, la cattura vera e propria dura circa un centesimo di secondo e dopo un quarto d’ora la pianta è già pronta a “scattare” di nuovo.
Come coltivarle
Quasi tutte le piante carnivore sono di facile coltivazione in casa o sul balcone purché se ne soddisfino le poche elementari esigenze. Innanzitutto hanno bisogno di tanta luce, anche del sole diretto. Durante i mesi invernali vano tenute in casa, possibilmente vicino a una finestra esposta a Sud. Possiamo anche utilizzare delle lampade artificiali per assicurare l’illuminazione adeguata, rispettando la durata naturale del giorno. Con la primvera e l’assestamento della temperatura (attenzione a quella notturna) intorno ai 20°C possiamo metterle sul balcone, dove sarà più facile assicurare tutta la luce di cui hanno bisogno. Essendo originarie per lo più di zone paludose, queste piante hanno bisogno di avere le radici sempre a contatto con l’acqua. Mettiamo dunque il nostro vaso su un largo sottovaso e bagniamole regolarmente riempiendo il sottovaso di acqua demineralizzata. Il calcio o il cloro contenuta nell’acqua dell’acquedotto è solitamente poco gradita. Se non abbiamo modo di usare l’acqua piovana, usiamo l’acqua minerale o quella demineralizzata. A primavera possiamo anche rinvasarle. Per farlo impieghiamo terriccio per acidofile, oppure della torba acida mescolata a della sabbia ed evitiamo sempre di toccare il pane di terra intorno ale radici.
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