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L' orto di Piero - Episodio 2

17 marzo

Con Piero guardiamo come predisporre la proda dell’orto alla semina o al trapianto con la concimazione di fondo. Si utilizza il letame pellettato e lo si distribuisce sulla superficie già vangata e livellata. Una leggera vangatura per interrarlo e il terreno è pronto. Vediamo quanto usarne e come procedere poi se si desidera seminare oppure trapiantare.

Ma Piero ci dice anche, tra le righe, come fare l’orto senza dar fastidio ai vicini che possono non gradire l’odore del concime. In fondo, bisogna fare i conti anche con queste cose, perché non siamo isole…

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L'orto di Francesco - Episodio 3

17 marzo

In questo episodio Francesco ci spiega il ruolo della temperatura sulla germinazione dei semi e sulla scelta del momento per trapiantare le piantine ottenute.

Il pomodoro infatti ha bisogno di almeno 14-15°C per poter germinare e crescere. Nella sua veranda dove prepara le semine dei suoi pomodori la temperatura non scende mai sotto i 15°C e non supera mai i 23°C. Se la temperatura è troppo alta le piantine restano deboli, mentre hanno bisogno, per irrobustirsi, di una temperatura inferiore. 

Quanto seminato nelle scorse settimane è già pronto per essere trapiantato in piena terra, ma la temperatura esterna è ancora troppo bassa: le piantine potrebbero resistere ma arresterebbero la loro crescita e non sarebbe produttivo. Tanto vale attendere dunque che la temperatura, anche quella notturna, permetta il trapianto senza bisogno di proteggere le piantine con tunnel o tessuto non tessuto.

Non resta che attendere; probabilmente è solo questione di una o due settimane.

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L' orto di Piero

Episodio 1 – 10 marzo

Piero ci spiega il suo modo di fare l’orto e lo fa partendo dalla preparazione del terreno dopo l’inverno. Dalla pulitura della superficie dalle erbacce alla vangatura profonda per predisporre la proda alla successiva concimazione di fondo prima della semina o del trapianto. Ci spiega quali attrezzi usare, in quale modo e quanto si impiega.

Il terreno va vangato in profondità per ossigenarlo e facilitare la decomposizione della materia organica; le radici troveranno in questo modo un substrato dove possono facilmente penetrare nelle prime fasi. 

Orto di Francesco_2

L'orto di Francesco - Episodio 2

10 marzo

Francesco ci spiega come separa e rinvasa le piantine ottenute da seme. Finché il clima non si stabilizza le piantine devono crescere nella sua veranda a una temperatura non superiore a 20°C. Basta bagnarle e vederle crescere.

Ci spiega anche come, nel corso degli anni, ha selezionato una varietà tutta sua a metà strada tra i perini classici e i San Marzano. Quello che ottenuto usando i semi delle sue piante migliori per diversi anni di seguito è una varietà resistente sulla pianta, perfetta per la salsa, ideale per il consumo fresco come per la conservazione.

Nella produzione di Francesco non ci sono solo perini; ecco i cuori di bue, sia rosa sia rossi: sempre di pomodori si tratta ma le piantine appaiono ben diverse. Da vedere fino in fondo.

Orto di Francesco_1

Nell'orto di Francesco - episodio 1

1 marzo

Francesco ci spiega come seminare i pomodori. Lo fa nella sua veranda dove la temperatura è normalmente tra 15 e 20°C. Ha iniziato a febbraio e, un po’ alla volta, ha prodotto decine di piantine: alcune andranno nel suo orto in piena terra, altre sono destinate ad amici e conoscenti che, conoscendo ormai la sua passione, preferiscono servirsi direttamente da lui. In questo video ci spiega come semina i suoi pomodori, partendo dai semi prelevati lo scorso anno dalle sue piante migliori e conservati durante l’inverno. Ora ottiene piantine destinate a dare frutto nella prossima estate.

Ci spiega come seminare nelle cellette, come trasferire le piantine  nei vasetti, come ottenere piante sane e pronte per il trapianto in piena terra appena il clima lo consentirà.

Possiamo usare le cellette, ma anche i vasetti avanzati negli scorsi anni, i bicchieri di plastica, i vasetti dello yogurt: qualsiasi contenitore va bene. L’importante è seguire le istruzioni e gettarsi nell’impresa.

Ascoli

Adotta un'aiuola

Questa storia inizia quando l’Amministrazione comunale di Ascoli Piceno avvia l’iniziativa “Adotta un’aiuola, un monumento o un’area verde, una rua” per incentivare l’impegno dei cittadini, in forma singola o associata, o di imprese attraverso forme di “adozione” di monumenti, aiuole/aree verdi pubbliche. 

L’impegno che viene chiesto e precisato nel bando, prevede per tre anni diverse attività, dal taglio periodico dell’erba alla pulizia e manutenzione ordinaria, dall’eliminazione delle infestanti alla pulizia dai rifiuti, dall’irrigazione alla messa a  dimora di nuove essenze. Il tutto, con il divieto di utilizzare pesticidi e diserbanti ritenuti dannosi per l’ambiente.

Il bando, rivolto a tutti i cittadini e le imprese del territorio, riceve adesioni da privati e aziende che si impegnano, ognuno secondo le proprie possibilità, a rendere più vivibile e bello il territorio in cui vivono.

Dalla più piccola aiuola allo spartitraffico, dalla semplice bordura alla realizzazione di una siepe, le idee e le proposte giunte all’Amministrazione sono diversissime, ma tutte accomunate dall’identico spirito di dare nuova vita e colore alle vie cittadine, cavalcando in alcuni casi la sola passione, in altre anche l’opportunità di regalare un po’ di “bello” alla cittadinanza in cambio di visibilità.

È il caso della Panichi srl, azienda di prim’ordine presente sul territorio dagli anni ’70 con costruzioni e ristrutturazioni all’insegna della qualità e della sicurezza: ha partecipato al bando proponendosi per l’Adozione dei giardini pubblici di Corso Vittorio Emanuele, prestigiosa area verde nel centro di Ascoli Piceno.

Prima dell’intervento

Per quanto riguarda la riqualificazione dell’area verde, dunque, prima di intervenire Panichi ha provveduto a far stilare una relazione tecnica sullo stato degli alberi presenti nel parco. Attraverso un’accurata analisi detta VTA (Visual Tree Assessment), svolta dell’Agronomo Agostino Agostini, si è potuta valutare la stabilità degli alberi in modo tale da poterne determinare l’oggettiva “pericolosità” e, dove necessario, intervenire con misure per ridurre o prevenire l’incidenza di crolli, schianti o cedimenti.

In relazione alle condizioni biomeccaniche e fitopatologiche rilevate, è stata attribuito un elevato rischio di cedimento a 10 esemplari su 30 (spesso dovuto alla eccessiva densità rilevata in alcuni casi, alla mancata gestione nutrizionale di difesa fito-sanitaria nonché alla forte infestazione, in quota, operata da insetti). Tra i dieci peggiori alberi valutati, solo quattro erano oggettivamente pericolosi, ma in ogni caso non presentavano pericoli imminenti di cedimenti in toto per rottura nella zona del colletto o per ribaltamento. Si è in ogni caso intervenuto su tutti gli esemplari presenti nel parco.

Inoltre, prima dell’intervento di Panichi, la fontana era disattiva da anni, le bordature dei vialetti erano rovinate con pezzi di pietra mancanti, la breccia era ormai inesistente e la statua di Vittorio Emanuele aveva subito degli atti vandalici che la ditta ha provveduto a sistemare.

Il progetto

Il progetto, presentato dalla ditta Panichi il 22 aprile nella sala De Carolis del Comune, ha previsto la gestione della manutenzione ordinaria del tappeto erboso e degli arbusti e quella straordinaria dei camminamenti dei giardini pubblici, delle bordure delle aiuole e dei muretti a secco di contenimento delle aiuole terrazzate.

In sintesi, gli interventi straordinari effettuati sono consistiti nel ripristino di tutti i camminamenti con del nuovo ghiaietto spaccato, lavato e successivamente compattato, delle bordure e delle scalinate interne ai giardini (anch’esse imbrecciate con del nuovo materiale come per i camminamenti).

Prima della stesa del nuovo ghiaietto, è stato eseguito lo scotico di tutti i camminamenti dall’eccessivo ricarico eseguito negli anni passati e che ha determinato l’interro delle bordure in pietra, esistenti, delle aiuole.

Si aggiunge poi il recupero di tutte le bordure in pietra, delle aiuole, mediante il riposizionamento delle pietre calcaree mancanti; la costruzione dei muretti a secco con le stesse pietre cadute a terra. Oltre ciò, si sono recuperate tutte le panchine esistenti con il ripristino anche di quelle in pietra di travertino (pietra tipica di questa zona).

In ultimo, il recupero della fontana presente sul punto di accesso da v.le A. De Gasperi, che è consistito nel ripristino del muretto perimetrale, con le pietre esistenti e cadute a terra, il ripristino dell’impianto di illuminazione, il recupero del sistema idraulico dal pozzetto esistente fino alla fontana e l’impermeabilizzazione delle pareti immerse della stessa fontana.

Il progetto ha previsto anche la didascalizzazione del giardino mediante il posizionamento di un “Totem” e di targhe a terra realizzate in acciaio “CORTEN”. I totem, in numero di 4, riportano la planimetria dei giardini pubblici e danno indicazioni ai visitatori in più tipologie di lingue/linguaggi.

Le targhe a terra, invece, di modesta dimensione, realizzate anch’esse in acciaio CORTEN, riportano le indicazioni dell’Amministrazione Comunale e della ditta affidataria.

Il lavoro sulle piante e i camminamenti

Attraverso gli interventi di potatura, iniziati dunque dopo l’analisi di ciascuno dei 30 alberi rilevati nel parco, si è mantenuta la giusta superficie fotosintetizzante delle chiome, riequilibrando la struttura naturale e la gerarchizzazione delle chiome. Ciò ha permesso di mantenere il corretto rapporto fra quest’ultima e l’apparato radicale. Il fine di questi interventi di “giardinaggio” specialistico è proprio quello di assicurare la corretta biologia e la fisiologia dell’albero e dell’associazione vegetazionale del giardino. Inoltre, nei lavori eseguiti sui camminamenti, sulle scalinate e a ridosso dei muretti a secco, si è evitato di intaccare (il meno possibile, comunque nei limiti ammissibili dalla tecnica agronomica) il suolo di radicazione delle specie presenti, in modo da non stravolgere le “quasi centenarie abitudini” delle piante. 

Gli interventi cesori della tecnica arboricola sono consistiti nello specifico in una potatura di riforma delle chiome, di rimonda del secco, l’asportazione delle parti deperienti e/o seccagginose, e la rimozione dei monconi dei rami schiantati; al fine anche di rimuovere forme di parassiti funginei e/o di insetti corticicoli ancora presenti.

Sono in programma per i prossimi anni di gestione la potatura di riforma per il contenimento della chioma degli alberi per circa un 20% del suo volume al fine di mantenere pressoché inalterata la produzione di foglie e il consolidamento, eventuale, dinamico e/o statico delle branche infestate mediante idoneo materiale certificato appositamente per l’utilizzo nell’arboricoltura ornamentale (commercialmente denominato “COBRA”). Questo intervento serve in particolare per limitare l’asportazione di branche primarie e secondarie, al fine di evitare l’apertura di ampie ferite e le relative conseguenze fitopatologiche.

Alla riqualificazione verde, si aggiungono i lavori svolti dalla ditta Panichi per quanto riguarda la manutenzione ordinaria dei camminamenti dei giardini pubblici, delle bordure delle aiuole e dei muretti a secco di contenimento delle aiuole terrazzate.

In particolare, per iniziare sono stati ripristinati i camminamenti con del nuovo ghiaietto, recuperate le bordure in pietra, pulito il monumento e ripristinata la fontana che da anni non era funzionante. 

La scelta delle piante

Grazie al sostegno dell’Agronomo Agostino Agostini che ha preso in esame il sito ed ha suggerito le linee guida per la riqualificazione dello stesso, compatibilmente con le caratteristiche e le peculiarità storico-artistiche e botaniche del contesto, si è previsto di mantenere l’antico impianto, ovvero fare una ricerca sull’erbario orsiniano e ricercare le originarie specie arboree, e/o arbustive, scelte e consigliate dallo stesso Antonio Orsini – illustre studioso, farmacista e scienziato che ha provveduto a dotare il sito della sua ricca e rara vegetazione. Con lo stesso criterio, quindi, si andranno a scegliere le nuove piante/arbusti per rinfittire l’impianto ad oggi rimasto e lodevole di recupero. Dunque, oltre alle aiuole, ai muretti a secco, ai camminamenti, resta un cedro del libano, alcuni lecci, un tiglio, un ginkgo biloba e un platano. Oltre ad alcuni arbusti di particolare interesse come due esemplari di pittosporo, dalla forma arborea, un tasso ed altri arbusti come la spirea e una rosa.

Nei tre anni di adozione del parco, anche attraverso l’aiuto e il supporto dell’Agronomo Agostino Agostini e ottenuto il consenso della Sovrintendenza, è in programma l’installazione di nuove specie arboree.

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Un Amarillo per Natale

15 novembre

Abbiamo acquistato una settimana fa un Amaryllis Hippeastrum in vaso per poco più di 2 euro. Il bocciolo era alto appena 6 cm e il nostro desiderio era nel constatare la velocità di crescita e la possibilità di farlo sbocciare per Natale.

Invece di metterlo davanti a una finestra, come si dovrebbe fare, abbiamo messo il vaso sulla scrivania e l’abbiamo illuminato con una lampada Led, di quelle che vengono vendute come adatte alle piante.

Per questo la luce è violacea, composta da Led rossi e blu. La teniamo accesa per circa 10 ore al giorno.

Vi abbiamo messo vicino un righello per verificare giorno per giorno la sua crescita.

A distanza di una settimana il germoglio è cresciuto giungendo a 14,5 cm.

Non abbiamo cambiato il vaso, non lo abbiamo annaffiato, non abbiamo fatto nulla, ma settimana dopo settimana vi mostreremo come cresce.

…continua   ⇒  

Il curioso esperimento di David Latimer

Il curioso esperimento di David Latimer

A cosa pensasse David Latimer in quel giorno di Pasqua del 1960 non è mai stato chiarito. Lui stesso, se interrogato, sfugge l’argomento e appare piuttosto vago. Ricorda bene di averlo fatto, ma cosa lo animasse in quel momento, quali motivazioni avesse, se mai ne avesse avute, a cosa stesse pensando, lui stesso non sa dire. Un po’ come se avesse accettato di averlo fatto, ma sul perché e il percome, continua a restare sulle sue.
Ci piace pensare che forse non pensasse a niente di particolare; probabilmente aveva un po’ di tempo da spendere, forse aveva pensato di farlo ma non aveva ancora avuto voglia di farlo. Chi lo può dire? 

Questa storia è ambientata in una casa di Cranleigh, nel distretto di Waverley, contea del Surrey, nel Sud-Est dell’Inghilterra, a meno di due ore di macchina da Londra.

Lui, ingegnere nel settore dell’energia elettrica, di svaghi ne aveva pochi: condivideva con la moglie Gretchen l’amore per le piante e si riempiva volentieri ogni angolo di casa con piante di ogni genere. Ma senza cercare cose strane: gli bastavano le piante più comuni, quelle che non davano problemi, che crescevano anche se ci si dimenticava talvolta di annaffiarle. “Oh, sei svenuta? Rimediamo subito.

Ma, un po’ per indole, un po’ per lavoro, era abituato a inseguire le sue curiosità. E ne aveva tante e aveva il piacere di leggere, farsi domande, provare. Così, per il gusto di farlo.

Il boccione di vetro

Ma tant’è. Quella domenica decise di mettere in atto una cosa a cui pensava da alcune settimane e andò a recuperare in cantina quella specie di damigiana che aveva recuperato da tempo. Ricorda ancora quando l’aveva portata a casa, recuperata da un’azienda che se ne stava disfando. Era una specie di boccione di vetro che serviva per lo stoccaggio dell’acido solforico. L’avvento delle taniche di plastica, più sicure e affidabili, permetteva di conservare l’acido in minore spazio senza tutti gli inconvenienti che il vetro portava con sé, prima fra tutte, la fragilità (e trattandosi di acido, non era poco). Ma quell’oggetto di vetro, della capacità di 10 galloni (circa 40 litri) aveva un suo fascino. Non sapeva ancora cosa ne avrebbe fatto, ma gli pareva conunque brutto buttarlo via. 

Il fattaccio

Piaceva l’idea, diciamo così. E l’aveva perciò portato a casa, sotto lo sguardo allarmato di Gretchen che, come altre volte, l’aveva guardato mentre scaricava con una certa prudenza quella cosa dalla macchina e l’aveva redarguito con il solito “Ma cosa ne facciamo?” seguito dall’immancabile “Dove lo metti?”. Per poi andarsene borbottando qualcosa che poteva assomigliare a un “Porta a casa tutta la spazzatura che trova!”.

Ma quel giorno David aveva le idee chiare su come avrebbe utilizzato quel boccione di vetro. Probabilmente ci pensava già da giorni e quella giornata con cielo coperto che, nonostante il clima ormai primaverile, sconsigliava di fare cose come passeggiare o lavorare in giardino, pareva proprio l’ideale.

Innanzitutto, mettiamovi della terra: quella dietro casa, dove avrebbe potuto fare l’orto, andava bene: morbida, fertile, ricca e soprattutto a portata di mano. Portò il boccione lì vicino e iniziò a riempirlo di terra accorgendosi però, dopo le prime palettate che la bocca del contenitore era troppo piccola, che la terra finiva un po’ dappertutto e che avrebbe impiegato ore per riempirla come pensava.

Un pezzo di cartone, ci vuole un pezzo di cartone con cui fare una sorta di imbuto.

No, il cartone non si trova: mai che ci sia un pezzo di cartone, un normale, fottutissimo pezzo di cartone quando lo cerchi.

Va bene anche un giornale arrotolato, pensò, quanto basta per allargare la bocca del boccione e gettarvi la terra più rapidamente, senza sporcare. Il primo problema era risolto. David si sentiva soddisfatto e pregustava già il finale. Ora si trattava di spostare il boccione riempito per un terzo di terra umida fino a dove aveva già pensato di porlo: in casa, vicino all’ingresso. Non era tanto il peso quanto la relativa fragilità del boccione che lo preoccupava, ma poco alla volta, afferrandolo con due mani dalla bocca riuscì a spostarlo fino all’ingresso.

Problema numero tre: la moglie. Fino a quel momento era rimasta in casa, occupata nelle sue faccende, incurante di quanto facesse il marito fuori casa, ma sentendolo entrare con quell’affare sporco, avrebbe certamente avuto da ridire. E David doveva essere pronto a dare spiegazioni convincenti.

Tutto come da copione; si era preparato e superò le proteste della moglie che, abituata alle sue stranezze e ai suoi esperimenti, si convinse che in fondo quell’idea balzana sarebbe durata poco e che tutto sommato non valeva nemmeno la pena di rovinarsi il pomeriggio per così poco. “Basta che non stia tra i piedi e che non puzzi!

Pazza idea

Perfetto: tutto proseguiva secondo i piani. Ora era il momento dell’esperimento vero e proprio. Spezzò con le dita un pezzetto di una pianta che viveva in più esemplari nell’appartamento crescendo e moltiplicandosi senza dar fastidio, ma riempiendo di verde ogni angolo. Si trattava di una Tradescantia, quella che noi chiamiamo comunemente Miseria perché, come questa, sopravvive sempre e non c’è quasi modo di eliminarla definitivamente.

L’idea era di fare una talea della pianta e di metterla a radicare nel boccione. Ora si trattava solo di metterla in terra: la mano non passava e tanto meno il braccio. Un fil di ferro: ci vuole un filo di ferro, lungo, piegato a formare una U in modo da sorreggere la talea quel tanto che basta per appoggiarla al terreno.

Più facile a dirsi che a farsi e, oltre al filo di ferro con cui calare la talea verso il terriccio, era necessario il manico della scopa per bucare il terreno ove inserire la talea e avvicinare poi il terriccio dai bordi verso la talea perché si assestasse. Non era convintissimo di averlo fatto bene, ma di meglio non si poteva e si accontentò.

Se la pianta era fedele alla sua nomea, avrebbe certamente attecchito. Ancora una cosa: il tappo, un bel tappo di sughero con cui chiudere il boccione e assicurare così alla talea tutta l’umidità di cui aveva bisogo per radicare.

Fatto. Ovviamente il boccione non poteva stare proprio lì sull’ingresso. Ma bastava spingerlo un po’ più in là, nel sottoscala, perché non desse fastidio e prendesse quel tanto di luce che bastava. E in effetti il sole la colpiva per non più di un’ora al giorno, attraverso la porta vetrata dell’ingresso, per poi restare comunque in posizione luminosa. “Poi magari il tappo lo tolgo”, si disse David. E non ci pensò più.

Soddisfatto del suo esperimento, si gettò a capofitto in altre curiosità e altre sfide, gettando di tanto in tanto un occhio alla sua talea per vedere se attecchiva. Non era difficile, ogni volta che usciva di casa o rientrava, guardare attraverso il vetro e constatare che la talea fosse viva.

E poi, un giorno, qualche settimana dopo, si scoprì a contare le foglie della sua talea e a convincersi che sì, aveva radicato e che la pianta stava crescendo. “Bello” pensò, ma non aveva tempo per occuparsene e, come spesso accade, se ne dimenticò, lasciando quelle tre foglioline, che ora erano diventate quattro o forse cinque, lì nel boccione. Che a sua volta aveva trovato una sua ragione di essere in quel sottoscala dove tanto non ci sarebbe potuto stare nient’altro e che, insomma, anche per la moglie, ormai faceva parte dell’arredamento.

Ed è così che settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, la piantina cresceva indisturbata diventando una vera e propria attrazione.

Anno dopo anno la Tradescantia ha occupato l'intero spazio nel boccone, senza chiedere nulla, nemmeno l'acqua e diventando una vera attrazione.
La pianta cresce indisturbata in un microclima in cui l'anidride carbonica è assorbita dalla pianta e l'ossigeno è consumato dai batteri.

E senza che nessuno facesse nulla. Bisogna arrivare al 1972, sono dunque passati 12 anni da quella bizzarra Pasqua, perché David decida di aprire il boccione che nel frattenpo era rimasto completamente sigillato da quel famoso tappo di sughero che “Poi magari lo tolgo”, ma che non venne più rimosso. “Avrà bisogno di acqua? In fondo non può evaporare. Però finisce nei tessuti della pianta; mettiamone un po’. Un bicchiere d’acqua può bastare, sennò marcisce”. E così fu che il boccione venne ri-tappato. Ora la curiosità era un’altra, anzi erano altre: 

come poteva vivere la pianta in quelle condizioni? E quanto sarebbe potuta vivere?

Le risposte

Alla prima domanda era relativamente facile rispondere. La pianta assorbe anidride carbonica; tramite la fotosintesi scinde il Carbonio e lo impiega per costruire nuovi tessuti, mentre libera l’ossigeno arricchendo l’atmosfera.

I batteri contenuti nella terra demoliscono la materia organica presente fornendo in questo modo elementi preziosi alla vita della pianta; nel farlo consumano ossigeno e rilasciano anidride carbonica. Il ciclo vitale è completo, sia pur restando relegato in uno spazio tanto piccolo. Le foglie che periodicamente muoiono vanno ad arricchire il terreno restituendo al suolo tutto quanto la pianta ha prelevato per costruirle e tutto quanto la pianta ha rielaborato con la fotosintesi. Il processo è virtuoso: non solo il terreno rimane fertile a distanza di anni, ma anzi si arricchisce ulteriormente di quanto prodotto dalla pianta. L’acqua non può uscire da boccione: se fa caldo evapora e aumenta l’umidità relativa proteggendo le foglie. Diversamente, resta nel terreno e viene assorbita dalle radici. 

Resta la domanda: quanto può vivere la pianta in queste condizioni? Difficile immaginarlo. Il boccione rimane sigillato. Dopo la sporadica apertura nel 1972 per un bicchiere d’acqua in più, non è più stato aperto. E a distanza di 61 anni da quella insolita Pasqua del 1960 la pianta appare in perfetta salute. Non è nemmeno invecchiata. David invece sì. E anche la moglie.

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Fritillaria delavayi

La curiosa evoluzione della fritillaria cinese

Conosciamo la fritillaria per essere una pianta bulbosa primaverile dai colori appariscenti: quella che coltiviamo noi nei nostri giardini è la Fritillaria imperialis con fiori penduli riuniti in ombrelle e dai colori che vanno dal giallo al rosso carico. Una specie particolare, la Fritillaria delavayi, che vive in Cina sui monti Hengduan è stata oggetto di particolari studi per la sua curiosa evoluzione a cui si assiste da alcuni anni.

A differenza delle nostre specie, la delavayi non è più alta di 30 cm e sviluppa una rosetta basale formata da tre-cinque foglie di colore verde brillante e da un singolo fiore campanulato, di colore giallo acceso che spunta una sola volta all’anno. Inoltre sono necessari cinque anni perché il bulbo, nato da seme, sia in grado di produrre un fiore. Il suo bulbo, molto piccolo, è utilizzato da oltre 2.000 anni nella medicina tradizionale cinese per trattare le bronchiti e in generale le patologie che colpiscono l’apparato respiratorio.

È una pianta che cresce in montagna dove trova il clima che le è più congeniale, freddo e asciutto. Spunta tra le pietre ed è per sua natura molto appariscente, proprio per attirare i pochi insetti impollinatori.

La Fritillaria delavayi impiega cinque anni a fiorire, un periodo in cui potrebbe essere raccolta interrompendo il naturale ciclo di vita della pianta. (foto di Yang Niu)

Un’evoluzione sospetta

Da alcuni anni si sassite a una curiosa evoluzione. Le piante presentano infatti delle foglie di colore marrone-grigio come se tendessero a mimettizzarsi con il terreno e le pietre circostanti. Anche il fiore, che nella specie originaria è di un bel giallo acceso, tendono ad essere sbiaditi, quasi verdastri e decisamente meno appariscenti. Una ricerca è stata allora avviata per cercare di capire i motivi di questa evoluzione sospetta che porta la pianta ad essere difficilmente individuabile. Lo studio, condotto dal Kuming Institute of Botany (Accademia cinese delle scienze) ha avviato la sua ricerca prendendo in considerazione la possibilità della pianta di sfuggire ai possibili predatori. L’osservazione ha però presto cocluso come non vi siano erbivori in quantità tale -e superiore alla normale presenza- da giustificare una evoluzione del genere. Gli animali presenti inoltre mostrano di disdegnare questa pianta.

Inquinamento o altri fattori normalmente presi in considerazione sono stati ben presto scartati per concentrarsi sull’unica plausibile causa: l’eccessiva raccolta da parte dell’uomo.

Dove la raccolta è sistematica e intensiva, la pianta modifica il colore delle foglie per mimetizzarsi con il terreno circostante e risultare così meno appariscente. (foto di Yang Niu)

Il principale predatore

La Fritillaria delavayi è stata oggetto di raccolta e utilizzata in medicina per almeno 2.000 anni, ma la domanda in costante aumento e l’offerta insufficiente hanno innescato una sorta di caccia al tesoro. Il prezzo per un chilogrammo (2,2 libbre) dei bulbi della pianta, la parte della pianta utilizzata in medicina, è superiore ai 500 $. Ogni bulbo ha le dimensioni di un’unghia; per ottenerne un chilogrammo sono necessarie più di 3.500 piante singole.

Questa specie d’altronde cresce solo in montagna in condizioni difficilmente replicabili in un vivaio. Inoltre i consumatori sono convinti che le varietà selvatiche siano migliori, anche se non c’è alcuna prova che lo confermi. 

La ricerca

La ricerca, avviata nel 2011, ha inizialmente avuto come obiettivo quello di studiare come veniva impollinata la pianta che presenta un’altra curiosità: i fiori di un anno sono prevalentemente maschili, ma diventano sia maschili sia feminili negli anni successivi. Per lo studio sono state etichettate le piante all’interno di una determinata area; ma il primo tenatativo è stato miseramente vanificato dalla raccolta indiscriminata che ha visto sottrarre tutte le piante oggetto dello studio.

Il cambiamento di colore delle foglie e dei fiori doveva, secondo Yang Niu, uno degli autori dello studio, “essere indotto da una forte forza selettiva”.

E l’unica forza in gioco era la raccolta operata in modo sempre più massiccio dall’uomo.

Per testare questa teoria, i ricercatori hanno prima consultato gli erboristi locali che avevano sei anni di registrazioni che mostravano dove erano cresciute le piante e quante erano state raccolte. Hanno determinato quali aree erano già pesantemente raccolte e di più facile accesso, rispetto a quelle nascoste in terreni rocciosi e montuosi. Usando uno strumento chiamato spettrometro, che misura le lunghezze d’onda della luce per determinare il colore, hanno misurato il colore delle piante in luoghi diversi e hanno trovato una correlazione tra quanta popolazione era stata dissotterrata in un dato punto e il colore di un fiore.

Nelle zone meno accessibili dove si recavano pochi umani, le piante erano ancora di un bel verde brillante e il fiore era giallo, ma in luoghi in cui i bulbi venivano raccolti in numero elevato, i colori stavano diventando più sbiaditi.

I ricercatori hanno persino creato un gioco, “Spot the Plant”, per testare la facilità con cui si possono trovare piante mimetizzate. Quando ai volontari è stato chiesto di identificare la Fritillaria delavayi tra rocce e terra, è risultato evidente come fosse necessario molto più tempo per individuare esemplari con colori meno vivaci.

La selezione naturale

Accettando l’assunto che sia l’uomo la causa di questo cambiamento, in che modo la raccolta di questi bulbi indurrebbe la pianta a cambiare colore e a mimetizzarsi? Lo studio afferma che l’uomo raccoglie le piante più visibili e lo fa tanto intensamente da limitare drasticamente la possibilità per le piante di concludere il loro naturale ciclo di vita e quindi di moltiplicarsi. La pianta impiega cinque anni per riprodursi, il che significa che tutte le piante verde brillante potrebbero essere raccolte prima che abbiano la possibilità di trasmettere i loro geni colorati. Entro una o due generazioni, una popolazione di piante in un’area altamente trafficata potrebbe avere un patrimonio genetico con DNA prevalentemente grigio e marrone, con superiori possibilità di moltiplicarsi e quindi di trasmettere le sue caratteristiche.

Il fatto che l’uomo possa influenzare l’evoluzione delle specie non è nuovo: è già stato osservato sugli animali. Il merluzzo atlantico e il salmone rosa, ad esempio, oggetto di pesca intensiva, hanno ridotto le loro dimensioni standard. Poiché sono raccolti in reti, quelli più piccoli sono in grado di sfuggire, mentre quelli più grandi hanno meno probabilità di sopravvivenza. Col tempo quindi, l’intera popolazione tende a restare più piccola. Analogamente, anche il Ginseng americano, oggetto di raccolta intensiva negli Stati Uniti orientali, è diventato col tempo più piccolo e meno appariscente.

Fritillaria

Serra

Caccia al parassita della serra
nei Giardini di Castel Trauttmansdorff

Merano, 28 settembre 2021 – La Serra rappresenta un piccolo mondo a parte all’interno dei Giardini di Castel Trauttmansdorff, popolato da piante provenienti da luoghi lontani, con climi caldi e umidi. La Serra è stata inaugurata nel 2014, è alta 12 metri e ha una superficie di 300 metri quadrati; è dotata di un sistema di oscuramento automatico che regola la penetrazione solare durante la stagione calda, evitando il surriscaldamento della struttura e mantenendo la temperatura costante tra 23° e 25° Celsius.

Prima dell’infestazione da parassita, scoperta grazie ai costanti e scrupolosi controlli dei giardinieri di Trauttmansdorff nell’aprile del 2020, la serra ospitava alberi di mango, papaya e cacao, piante profumate come il patschouli e l’Ylang Ylang, piante fibrose come il kapok e l’albero a vite, insieme a variopinte orchidee e odorose spezie come la vaniglia, la cannella, il pepe e la curcuma. A causa dello scolitide Euwallacea fornicatus, un coleottero di circa due millimetri di dimensione, originario del sud est asiatico, la serra ha dovuto subire un attento smantellamento: l’area infestata è stata tempestivamente sigillata per evitare il pericolo che l’insetto si diffondesse all’esterno della serra e tutte le piante, tra cui 500 orchidee, hanno dovuto essere rimosse e bruciate.

Per assicurarsi che nessun coleottero nascosto sopravvivesse, la serra è stata sottoposta ad una “terapia del calore” per i mesi successivi; inoltre, nel raggio di diversi chilometri sono state installate numerose trappole attrattive per l’insetto e sono stati effettuati controlli visivi accurati nell’intera area del giardino botanico.

Tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con il Servizio fitosanitario della Provincia autonoma di Bolzano, che ha coordinato le attività di monitoraggio e di eradicazione.

Fino alla primavera del 2020, la presenza di questa specie di insetto non era mai stata riscontrata in Europa. Grazie al lodevole lavoro dell’entomologo Hannes Schuler della Libera Università di Bolzano e al network che ha creato con colleghi europei, si è scoperta la presunta origine dell’infestazione: un’importazione di piante dall’Olanda nel 2018, provenienti da una zona intorno al Vietnam. L’intero caso è stato documentato da Schuler e dai colleghi europei in “Research Square”, un accurato studio scientifico che dimostra l’importanza, in questi casi, dell’agire tempestivo e del ricostruire le vie attraverso le quali avviene l’introduzione di organismi nocivi per prevenirne ulteriori diffusioni.

La serra è stata riaperta al termine dell’intervento, a inizio estate 2021. Ora ha un aspetto diverso rispetto a quello originario, che presentava una vegetazione lussureggiante e un’atmosfera tropicale. Infatti, anche per evitare di incorrere in situazioni simili a quella trascorsa, si è scelto di piantumare piante giovani, non ancora cresciute, ma che diventeranno presto floride e rigogliose.

In tutta questa vicenda, provvidenziale è stato il monitoraggio intensivo da parte dei giardinieri di Trauttmansdorff, che hanno rilevato piccoli buchi e segatura su alcuni tronchi e rami di piante della serra.

Le misure adottate tempestivamente e la collaborazione tra i diversi attori coinvolti hanno dimostrato che è possibile tenere sotto controllo e risolvere in maniera esemplare una situazione delicata come questa, impedendo la diffusione del parassita nelle aree circostanti, ma non solo. Questo intervento ha permesso di contenere il parassita anche a livello europeo; infatti, il fornitore olandese, una volta informato della situazione, ha provveduto a eliminare le piante coinvolte.