L’estate è sgargiante, chiassosa, eccitante nei colori e nei profumi, l’autunno è quieto, dolce, quasi malinconico. Con la fine della bella stagione sembra che in natura tutto sia compiuto, i frutti raccolti, le erbe aromatiche messe a seccare, gli ortaggi in conserva. Come se non restasse, insomma, che aspettare l’inverno.
Ma chi l’ha detto che l’autunno non abbia niente da offrirci?
Prima di tutto è una stagione che affascina per il fiammeggiare d’oro, porpora e bronzo delle foglie, per quella sua luce trasparente che rende ogni cosa più nitida; e poi ci sono le bacche che in un tripudio di colori fanno allegria e regalano nel giardino visioni insolite, fatte apposta per i romantici e i golosi. Sì, perché le bacche di alcune piante possono fare la felicità degli uccelli, ma anche di molti di noi golosi.
In botanica sarebbe corretto fare una distinzione tra bacca vera propria, drupa o, cinorrodo, ma noi chiameremo bacche tutte quelle graziose palline colorate che punteggiano alberi e arbusti con magnifici effetti decorativi, soprattutto nell’autunno e in inverno. Se perciò abbiamo a disposizione un giardino o un terrazzo, vale la pena di coltivare alcune piante che potranno regalarci la loro vivace bellezza e saranno un antidoto contro le giornate a rischio di tristezza.
Prima regola: conoscere le piante, perché moltissime delle loro barche sono splendide, ma tossiche. Tra quelle che però fanno felici i golosi ricordiamo, per esempio, le bacche nere del Sambucus nigra (non il Sambucus ebulus decisamente tossico) che sono la base per preparare gelatine dolci, confetture, succhi e perfino vino.
Un’altra pianta dalle bacche commestibili è l’olivello spinoso (il cui nome scientifico è Hippophae rhamnoides) i cui frutti di colore arancio contengono in proporzione più vitamina C del limone.
Le bacche di ginepro sono famose per insaporire ogni tipo di carne, mentre i frutti di Rosa canina, Rosa rugosa, Rosa eglanteria, Rosa rubrifolia, i cosiddetti cinorrodi, sono dei veri complessi vitaminici e inoltre possono servire a preparare salse e gelatine. Un concentrato di virtù è il sorbo rosso (Sorbus aucuparia) dai frutti aciduli, molto apprezzato dagli uccelli, ma anche base per gelatine o per la preparazione di un’acquavite simile al kirsc.
Le bacche del biancospino (Crataegus oxyacantha) ancorché non pregiate, venivano usate, in tempo poveri e in campagna, mescolate a farina per preparare il pane o un vino da cui veniva distillata un’acquavite.
Molte piante dalle splendide bacche, assai comuni nel giardino come sul terrazzo, capaci di creare splendide coreografie, sono decisamente tossiche, in alcuni casi persino mortali. Quindi, attenzione se decidiamo di coltivarle. Tra le più diffuse ricordiamo l’agrifoglio (Ilex aquifolium) dalla bacche rosse e il ligustro dalle bacche nere; ne vanno ghiotti tordi e merli, ma sono letali per l’uomo. Stiamo lontani dalle bacche dei viburni, degli evonimi, in particolare dell’Euonymus europaeus (detto fusaggine o berretta del prete), e da quelle delle lonicere.
Anche le bacche del Solanum nigrum e del Solanum dulcamara sono altamente tossiche così come quelle dell’edera (Hedera helix) che nei bambini possono provocare gravi intossicazioni. Il tasso (Taxus baccata) che tanto bene crea siepi maestose, è tutto velenoso mentre ancora tossiche sono le bacche dei mughetti e dei cotoneaster.
Ma se vogliamo semplicemente godere della bellezza e del colore delle bacche, allora ricordiamoci che molte di queste piante, e sono tante, non possono lasciare indifferenti per gli abbondanti e bellissimi frutti prodotti.
Il clerodendro è un arbusto che perde le foglie in autunno lasciando le bacche nere-bluastre che spiccano al centro di brattee rosse disposte a stella.
Il biancospino fiorisce a maggio ma i frutti compaiono tra novembre e febbraio, Sono di colore rosso acceso, presenti a centinaia sulla stessa pianta.
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I Coleus sono piante che in appartamento non superano generalmente i 50
cm di altezza, ma che, coltivate in esterno nelle condizioni ideali, possono
superare il metro. La loro caratteristica è la varietà delle forme e dei colori assunti dalle foglie che possono essere cuoriformi, lanceolate, ovali, con i margini lisci o dentellati e con colorazioni tra le più varie.
È una pianta di origine tropicale e come tale ama la luce non diretta e una
temperatura costante intorno ai 20°C. La sua fioritura è insignificante, ma
le varietà coltivate presentano un fogliame screziato caratterizzato dai
colori più vari: verde, bianco, rosa, rosso, marrone, violetto, oro…
Molto utilizzata come pianta per decorare le aiuole estive, è anche una pianta da
interno molto diffusa nelle nostre case. Necessita di alcune cure per sopravvivere e moltiplicarsi. Ha bisogno per tutto l’anno di abbondante luce, ma in estate non ama il sole diretto; la luminosità è la condizione essenziale per mantenere il suo fogliame abbondante e vistosamente colorato.
In casa vive bene davanti a una finestra esposta a Sud. Sopporta una temperatura minima di 8° C, ma è meglio che non scenda sotto i 12°C. In casa la temperatura normale ambientale risulta ideale purché associata a un’elevata umidità. Per questo, in estate, è utile nebulizzare dell’acqua non calcarea al mattino presto sull’intero fogliame.
Durante il periodo della crescita, annaffiamo con generosità: il fogliame si affloscia se il terreno è asciutto. Dall’inizio della primavera alla fine dell’estate, ogni 10-15 giorni, aggiungiamo all’acqua del fertilizzante di tipo ordinario.
In inverno, soprattutto se la temperatura è bassa, annaffiamo di meno, solo
quanto basta a mantenere il terriccio appena umido. In una posizione luminosa, meglio ancora se in serra o in una veranda, questa pianta può vivere svariati anni, assumendo l’aspetto di un piccolo arbusto di 1-1,5 metri di altezza.
Rinvasiamola ogni anno a primavera, utilizzando un terriccio universale neutro (non acido, meglio se un po’ sabbioso) e non esitiamo a potarla, sempre a primavera, per indurre la formazione di nuovi getti più vigorosi.
In appartamento tuttavia diventa spesso meno decorativa dopo solo qualche mese di coltivazione, tendendo ad allungarsi e a sguarnirsi a causa della scarsità di luce. In questo caso è bene ringiovanirla per talea. Tagliamo regolarmente le estremità dei fusti in modo da allargare la pianta e farle assumere un aspetto più cespuglioso. Eliminiamo i fiori,
piuttosto insignificanti, appena questi si sviluppano o immediatamente dopo la fioritura.
Nome scientifico: Coleus blumei
Famiglia: Lamiacee
Origine: isola di Giava
Tipo di pianta: erbacea arbustiva
Altezza: fino a 1,5 metri
Larghezza: fino a 50 cm
Fioritura: estate
Di cosa ha bisogno
Esposizione: luminosa, non al sole
Terreno: fertile, umido, ma ben drenato
Acqua: abbondante per mantenere il terreno umido, ma senza ristagni
Resistenza al freddo: scarsa; soffre sotto i 12°C
Moltiplicazione: per talea da aprile a settembre
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Una pianta rampicante è una bellezza a se stante. In un giardino può diventare protagonista con le sue splendide fioriture, ma svolge comunque un ruolo fondamentale per ricoprire muri, pergolati, ringhiere.
Si definiscono rampicanti quelle piante caratterizzate da un sviluppo particolare o da organi atti a far aderire il fusto alle pietre o attaccandosi ad esse o insinuandosi tanto da diventarne quasi solidali.
Tra le prime, pensiamo al caprifoglio o alla clematide, che si attorcigliano a un qualsiasi sostegno; alle seconde pensiamo alla vite i cui viticci si attaccano talmente bene al muro da diventare un problema staccarla dall’intonaco. Parliamo di rampicanti anche con altre piante non adatte ad arrampicarsi da sole, ma che vanno legate a dei sostegni: sono propriamente le sarmentose (tra cui le rose), dotate di fusti tanto lunghi da svolgere anche il ruolo che è proprio delle rampicanti.
La maggior parte di loro può crescere anche in vaso, purché capace e regolarmente irrigato e concimato, anche se l’esuberanza che spesso dimostrano trova nella piantumazione in giardino la condizione ideale.
Si tratta generalmente di piante robuste e molto rustiche, in grado di vivere molti anni crescendo talvolta anche velocemente. Le nostre cure saranno preziose nei primi mesi in modo che attecchiscano bene: poi saranno per lo più autonome e a noi toccherà solo regolarle per limitarne lo sviluppo.
Tutti i rampicanti vanno inizialmente indirizzati, legando i fusti principali nella direzione corretta. A tal proposito è bene osservare che, se vogliamo coprire una parete dalla base, dovremo inizialmente disporre i fusti principali a formare due braccia orizzontali da cui si alzeranno poi i fusti secondari per coprire la parete o la grata. Se li legheremo verso l’alto, rischiamo di trovarci con la parte inferiore completamente sguarnita.
Un’altra osservazione: la maggior parte di queste piante ama avere “la testa al sole e i piedi in ombra” nel senso che è utile posizionarle in piena luce, meglio ancora in pieno sole, ma può essere altrettanto importante proteggere la base con delle piante più piccole o, alla mal parata, con una corteccia o un coppo che impedisca al sole di colpirla.
Il periodo ideale per la piantumazione è generalmente l’autunno, vuoi perché le piante sono in riposo vegetativo e subiscono quindi meno stress, vuoi perché si potrà contare sulla naturale umidità del terreno per tutto l’inverno per l’attecchimento. Le piante messe a dimora nelle prossime settimane saranno già pronte a svilupparsi e fiorire nella prossima bella stagione. Non ultimo, possiamo acquistare piante più piccole e dunque meno costose, contando sul loro sviluppo a primavera. Possiamo, se la regione in cui abitiamo ha inverni molto freddi, rimandare la piantumazione a primavera: ne godremo di più l’anno successivo. Le piante che acquisteremo saranno necessariamente più grandi.
Giusto quindi iniziare fin d’ora a farsi un’idea di cosa possiamo installare nel nostro giardino, cercare la varietà che più ci convince (ogni specie prevede varietà con foglie e colore dei fiori diversi) e preparare per tempo la buca d’impianto.
Fondamentale per lo sviluppo corretto di queste piante è disporre di un’esposizione in pieno sole o comunque molto luminosa. Dopo di che, quello che conta è soprattutto il nostro gusto e la pazienza che intendiamo mettere in campo nell’attesa che cresca come desideriamo.
Se abbiamo in mente una specie, non accontentiamoci di visitare un solo vivaio: scopriremo che vi sono variazioni di prezzo anche notevoli, non sempre giustificate dalla varietà. Se esiste un vivaio specializzato in quella determinata pianta, regaliamoci una passeggiata per vedere più varietà e avvalersi anche dei consigli di uno specialista.
Nel trasporto in auto, evitiamo il riscaldamento eccessivo, ma anche i colpi d’aria: evitiamo alla pianta qualsiasi stress e, se non la mettiamo a dimora subito, conserviamola in una posizione luminosa, non colpita dal sole e ricordiamoci di annaffiarla.
La moltiplicazione della piracanta si può effettuare a settembre per talea. Tagliamo la cima di un rametto che non porta bacche ed eliminiamo le foglie basali mantenendo solo due o tre foglie sulla cima.
Mettiamo la nostra talea in un vasetto con terriccio leggero già bagnato e copriamo l’intero vaso con un sacchetto di plastica trasparente per salvaguardarne l’umidità. Dopo circa due settimane saranno spuntate le radici; ne avremo certezza dalla nascita di nuove foglioline sulla talea. Attendiamo ancora una settimana prima di togliere la protezione.
Ricoveriamo la nuova piantina in una serretta o in un ambiente protetto dal freddo dove possa ricevere luce perché si rinforzi durante l’inverno. A primavera potremo trapiantare la piantina in un vasetto più grande ed esporlo all’esterno durante la bella stagione. Potremo metterlo a dimora stabilmente il prossimo autunno.
Per saperne di più: la pianta e le specie, come coltivarla
La piracanta è una pianta rustica, perfettamente adattata al nostro clima, resistente al freddo invernale come alla calura estiva. Una volta insediata, si accontenta delle precipitazioni e le uniche cure richieste sono quelle di taglio per il contenimento della sua naturale espansione. Il periodo migliore per la messa a dimora è l’autunno; in questo modo la pianta potrà sfruttare l’inverno e la sua umidità per attecchire bene e inizierà a vegetare, fiorie e fruttificare giù dall’anno successivo.
L’esposizione migliore è in pieno sole. In queste condizioni la sua velocità di crescita è maggiore; fioritura e fruttificazione ne beneficiano. Questo comporta, nei primi due anni, una minima attenzione all’irrigazione: dato il rapido prosciugamento del terreno durante le settimane più calde, è bene prevedere irrigazioni regolari.
Un terreno ordinario va più che bene. Garantiamo un corretto drenaggio mettendo sul fondo della buca d’impianto sassi e ghiaia. Riempiamo la buca con il terreno precedentemente estratto, ripulito da sassi e radici e arricchito con del letame pellettato. I primi anni, a primavera, vale la pena distribuire sul terreno del concime a lenta cessione o del letame per facilitare lo sviluppo della pianta. Una volta ben attecchita, le concimazioni appaiono superflue.
È una pianta con scarse esigenze idriche che, una volta ben attecchita (sono necessari due inverni), sa badare a se stessa, fatti salvi ovviamente i periodi di prolungata siccità. Nel primi due anni forniamole acqua quando vediamo la superficie del terreno asciutta, quanto basta per far penetrare bene l’acqua nel terreno, ma sempre semza esagerare. La pianta mostra di soffrire più per eccesso di acqua che per siccità.
Possiamo coltivare alcune cultivar anche in vaso; scegliamo tra quelle che rimangono di piccole dimensioni e mantengono un aspetto compatto. Un vaso da 40 cm di diametro e del terriccio universale sono sufficienti a ottenere un bel cespuglio da mettere in posizione assolata. Maggiore attenzione dovremo avere per l’irrigazione che deve assicurare un terreno umido; attendiamo sempre di vedere la superficie del terreno asciutta prima di fornire acqua. Concimiamo la pianta all’inizio di ogni primavera e alla fine dell’estate con letame o concime a lenta cessione.
La piracanta non richiede una vera e propria potatura; può crescere anche liberamente. L’espansione della pianta può richiedere però tagli periodici di contenimento. La pianta sopporta bene anche tagli di forma che ne squadrino il profilo rendendola adatta a formare siepi anche basse ma ordinate.
Per saperne di più: la pianta e le specie, la moltiplicazione
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Girando per grandi magazzini e garden center possiamo facilmente trovare delle piante adatte a decorare la nostra casa o ideali per un regalo. I prezzi variano secondo le dimensioni e la confezione. Possiamo trovare piante in composizione, certamente di bell’effetto, ma anche decisamente più care e non sempre facilmente gestibili. Troviamo piante nobilitate da un bel vaso, ma molto spesso questo è adatto alla pianta come la vediamo, ma dovrà esser certamemte sostituito a primavera: se è un bell’effetto quello che desideriamo ottenere per un regalo, sono senz’altro da preferire. Se, invece, vogliamo acquistare una pianta da far crescere in casa nostra, tanto vale acquistarla al miglior prezzo e concentrarsi invece sulle cure per farla ben sviluppare.
Quando acquistiamo una pianta, e questo vale anche per il terrazzo e il giardino, dobbiamo chiederci dove vogliamo metterla. E questo perché la pianta avrà bisogno di luce, dovrà stare lontano da fonti di calore o correnti d’aria, avrà cioè delle necessità che andranno rispettate se vogliamo che si sviluppi come desideriamo.
Le piante adatte a vivere in appartamento sono quelle di origine tropicale. Le accomuna la necessità di una temperatura superiore a 15°, una buona luminosità (dipende molto dalla specie) e un’elevata umidità ambientale.
Sono piante che in natura vivono nel sottobosco della foresta tropicale e quindi non vedono quasi mai il sole, ma amano ciò non di meno la luce diffusa, una condizione che possiamo facilmente avere anche nei nostri appartamenti ponendo le piante più o meno distanti da una finestra.
Girando per negozi abbiamo trovato tre piante comuni di facile coltivazione e di sicuro effetto decorativo.
È la più classica delle piante d’appartamento, capace di regalare una bella massa verde a frote di scarsissime cure. Ama la luce e un’umidità ambientale elevata. Cresce velocemente e non è soggetta a malattie. F
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Pianta dalla formaoriginale e dalle foglie molto decorative, ideale per decorare un angolo e per chi non ha molto tempon da dedicarvi. Chiede solo una buona posizione e pochissime cure per crescere anno dopo anno.
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Specie che richiede qualche piccola attenzione: una buona illuminazione e umidità costante. Ottima da mettere in combinazione con altre piante verdi, ha bisogno solo di acqua piovana o decalcificata per crescre bene.
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Alberello deciduo, talvolta coltivato, più raramente, anche come arbusto, molto rustico, utilizzato per decorare le strade cittadine e i piccoli giardini. Fiorisce dalla seconda metà di luglio fino a tutto agosto con infiorescenze di colore rosa intenso. Ha un tronco liscio e sopporta bene sia la calura estiva sia il freddo invernale. La sua coltivazione è semplice e, benché dia il meglio di sé in piena terra, può essere allevato anche in un capace vaso. È perfetta per i giardini più piccoli perché non occupa grande spazio e nono richiede molta manutenzione. Richiede solo una buona esposizione al sole diretto per alcune ore al giorno.
Nome scientifico: Lagerstroemia indica
Famiglia: Lythracee
Origine: Sud-Est asiatico, India
Tipo di pianta: albero/arbusto caduco
Altezza: fino a 7 metri
Larghezza: fino a 5 metri
Fioritura: da luglio a tutto agosto
Esposizione: in pieno sole
Terreno: universale, ben drenato
Acqua: regolare nei primi due anni
Resistenza al freddo: elevata
Moltiplicazione: per seme o per talea
La Lagerstroemia, un genere che conta circa 80 specie, è originaria della Cina dove venne impiegata da sempre per decorare uffici pubblici e templi; grazie alla sua bellezza e alla sua facilità di coltivazione, si diffuse in tutto il Sud-Est asiatico, dove venne sempre impiegata solo a scopo ornamentale. Magnus Lagerstroem, direttore della Compagnia svedese delle Indie Orientali, botanico dilettante, la trovò in India e la inviò all’amico Linneo come curiosità, senza sapere se si trattasse di una specie nuova. Siamo a metà del 1700; Linneo la classificò e le diede il nome di Lagerstroemia in onore dell’amico, morto nel frattempo.
In Italia è conosciuta come Albero di San Bartolomeo, alludendo probabilmente al fatto che la sua corteccia, crescendo, si stacca in larghe falde; San Bartolomeo, secondo la tradizione, venne scorticato.
Alle caratteristiche del tronco, particolarmente liscio, allude anche il curioso nome giapponese, “sarusuberi-noki” che significa letteralmente “la scimmia scivola dall’albero”.
La Lagerstroemia indica, la specie più diffusa nel nostro Paese, si presenta con uno tronco liscio, di colore chiaro a cui talvolta si affiancano altri fusti più piccoli. Ha una chioma tondeggiante, non molto densa, con foglie ovali di colore verde scuro che quasi scompaiono durante la fioritura. Le foglie diventano arancioni prima di cadere fornendo un motivo decorativo in più. In compenso, è tra le ultime a “svegliarsi” dal sonno invernale.
È una pianta molto resistente, insensibile all’inquinamento e alle temperature: una volta ben attecchita (dopo quindi almeno due anni) si accontenta delle precipitazioni ed è in grado di superare autonomamente un’estate calda e poco piovosa.
I fiori sono riuniti in piccole pannocchie sulle cime dei fusti; sono abbondanti e quasi nascondo il fogliame. Appaiono nella seconda metà di luglio e rimangono fino a tutto agosto.
L’esposizione in pieno sole favorisce un’abbondante fioritura e il viraggio delle foglie verso il rosso durante l’autunno. Possiamo coltivarla anche in posizioni meno fortunate, dove il sole la colpisce per poche ore al giorno o anche in posizione luminosa, ma la fioritura sarà, di conseguenza, meno importante. Il periodo migliore per la sua messa a dimora è la primavera inoltrata, da aprile a giugno.
Questa pianta non ha particolari esigenze in fatto di terreno; cresce bene in un suolo di medio impasto, anche un po’ argilloso, dove sia assicurato un corretto drenaggio e una buona dotazione di elementi nutritivi. In giardino possiamo coltivarla senza alcun problema creando una buca ben più ampia e profonda del pane di terra e riempiendola poi con il terriccio di scavo ripulito dai sassi e arricchito con una modesta quantità di letame pellettato.
In vaso possiamo usare le stesse accortezze, utilizzando un vaso capace (almeno 40 cm di diametro e altezza) e terriccio universale.
Non ha particolari esigenze, se non nei primi anni dall’impianto. Per i primi due anni preoccupiamoci di annaffiarla per evitare che il terreno si asciughi completamente. Una buona tecnica consiste nel porre nel terreno, a fianco delle radici, un tubo lungo 30-40 cm (quelli corrugati normalmente impiegati in cantiere per le linee elettriche) in modo che sporga dal terreno per 10 cm. Versando l’acqua nel tubo potremo fornire acqua alle radici evitando inutili sprechi. Una volta ben attecchita, la pianta basta a se stessa ed è in grado di pescare l’acqua di cui necessita senza alcun nostro intervento. Una pianta adulta supera brllantemente l’estate più calda e siccitosa senza problemi; è uno dei motivi per cui viene scelta per le alberature stradali.
La coltivazione in vaso richiede, come sempre, delle accortezze in più. Oltre a preoccuparsi per le dimensioni del contenitore (per un alberello può essere necessario disporre di un vaso largo 50 cm e profondo 60 cm) dovremo preoccuparci di fornirle acqua in modo costante per tutta la bella stagione evitando stress idrici. Inoltre è utile fornire, a marzo, una manciata di letame pellettato per stimolare il risveglio vegetativo e proseguire fino alla fine dell’estate fornendo del concime liquido per piante da fiore una volta ogni due settimane.
Il rinvaso, se necessario, si effettua a marzo, generalmente ogni tre-quattro anni.
Possiamo allevarla sia a cespuglio sia ad alberello. Per ottenere un cespuglio folto, dopo la messa a dimora tagliamo il fusto principale a 20-30 cm dal terreno per indurre la ramificazione dal basso.
Se invece desideriamo creare un alberello, lasciamo crescere il fusto principale, quindi tagliamolo all’altezza desiderata per indurre ramificazioni da quel punto. Appena compaiono, tagliamo i rami che crescono più in basso lasciando che la pianta sviluppi la chioma.
In estate è facile che si formino polloni basali: se desideriamo la crescita ad alberello, tagliamoli alla base. Successivamente, sia che si tratti di cespuglio o di alberello, consideriamo che i fiori nascono sui rami dell’anno e sarà utile perciò, a fine febbraio-primi di marzo, accorciare a due terzi i rami dell’anno precedente.
La Lagerstroemia indica non richiede di per sé potature particolari; lasciata crescere liberamente, forma una chioma tondeggiante mediamente densa. Possiamo ciò non di meno decidere di potarla per dare maggiore vigore ai rami e ottenere così fiori più grandi.
Possiamo moltiplicare la lagerstroemia per seme o per talea. Alla fine dell’estate i fiori vengono sostituiti da capsule che, premute, si aprono a ventaglio e che contengono i semi. Possiamo metterli direttamente in piena terra oppure conservarli fino a primavera: un periodo di freddo favorisce infatti la loro germinabilità e in entrambi i casi le piantine spunteranno a primavera inoltrata.
Più facile moltiplicare la pianta per talea, tagliando nel mese di agosto delle cime non fiorifere. Eliminiamo le foglie alla base e lasciamone solo alcune in cima e mettiamo le talee a radicare in un terriccio leggero. Possiamo usare il terriccio universle addizionato di perlite o del terriccio per piante grasse, molto sabbioso. È importante coprire le talee con un sacchetto di plastica trasparente o una bottiglia per preservarne l’umidità e lasciarle in posizione luminosa ma non colpita dal sole. Le nuove piantine ottenute andranno mantenute in ambiente protetto (in casa o in una serretta all’aperto) per il primo inverno per poi essere trapiantate in vaso o in piena terra a marzo-aprile.
Pianta molto resistente, può essere attaccata dagli afidi che si addensano sui boccioli e le parti più tenere per succhiarne la linfa. In giardino si possono eliminare facilmente con un getto d’acqua o, se resistenti, con un insetticida aficida.
Il clima caldo e umido e una scarsa ventilazione possono far attecchire l’oidio (mal bianco); ce ne accorgiamo per la presenza di macchie chiare pulvurulente sulle foglie, macchie che tendono ad allargarsi fino a far seccare e accartocciare le foglie. Si interviene con un qualsiasi fungicida o distribuendo con la pompa dello zolfo bagnabile sull’intera chioma.
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Clizia era una ninfa innamorata di Apollo, dio del sole: quando si accorse che il dio la trascurava per recarsi da Leucòtoe, figlia di Orcamo, re degli Achemenidi, gelosa della fanciulla, decise di rivelare al padre l’unione di sua figlia con il dio del sole, e questo la fece seppellire viva. Apollo, però, perduta l’amata Leucòtoe, non volle più vedere Clizia, la quale, perciò, cominciò a deperire, rifiutando di nutrirsi e bevendo solamente la brina e le sue lacrime. La ninfa trascorse il resto dei suoi giorni seduta a terra ad osservare il dio che conduceva il carro del Sole in cielo senza rivolgerle neppure uno sguardo, finché, consumata dall’amore, si trasformò in un fiore, che cambia inclinazione durante il giorno secondo lo spostamento dell’astro nel cielo, e perciò è detto girasole.
Si chiama eliotropismo la capacità di alcune piante di orientare costantemente foglie o fiori verso il sole. Nel girasole questa capacità è particolarmente vistosa: i fiori “maturi” puntano sempre tutti a Est, dove sorge il sole, mentre quelli in via di formazione seguono il percorso del sole nel cielo orientandosi verso di esso. Durante la notte poi il fiore si rigira verso Est.
Questo meccanismo è reso possibile da alcune cellule motrici del pulvino, un segmento flessibile dello stelo posto sotto il bocciolo in combinazione con un processo ormonale. Grazie a questo movimento, il fiore può prendere la maggiore quantità di sole possibile e andare a maturazione. Una volta che i semi sono maturi, il ciclo si interrompe e il fiore rimane esposto costantemente verso est.
Lo chiamiamo fiore, ma in realtà si tratta di un’infiorecenza, ovvero di un insieme di fiori disposti a formarne uno solo, molto grande. La composizione prevede decine di fiori di cui solo quelli esterni dotati di un petalo (si chiamano ligule), mentre quelli interni formano il disco. I petali variano da un minimo di 17 a un massimo di 30, mentre i fiori interni possono essere 150 o più.
I fiori esterni sono sterili e hanno la sola funzione di attirare gli insetti per l’impollinazione, mentre quelli interni, di forma tubolare, sono fertili e destinati a produrre, ognuno, un seme.
Alla base del fiore, lungo il gambo, sono presenti molti peli rigidi che hanno lo scopo di difendere il fiore e i semi dai possibili predatori terrestri. Al fiore si giunge solo via area; sono infatti le api che lo impollinano.
La disposizione dei fiorellini all’interno del disco non appare casuale. I fiori infatti sono disposti secondo due spirali concentriche, una che si sviluppa in senso orario e una in senso antiorario. Di solito possiamo contare 34 spirali in un senso e 55 nell’altro; nei fiori più grandi si possono trovare 89 spirali in un senso e 144 nell’altro.
Il rapporto tra questi numeri (34-55 e 89-144) rispondono a quella che i matematici chiamano sezione aurea, ovvero una costante numerica rappresentata con la lettera greca fi, oggetto di studio fin dai tempi più antichi e che pare sia stata utilizzata dal Fidia (da cui l’adozione della lettera fi) per studiare le proporzioni delle statue dell’Acropoli di Atene.