Cotogno del Giappone_descrizione

Il Cotogno del Giappone

Tra le piante più precoci e certamente tra quelle che non passano inosservate, il cotogno giapponese, che qualcuno chiama fior di pesco, è un arbusto dai bei fiori rossi o aranciati che annuncia in maniera splendida l’arrivo della primavera.

Il suo nome scientifico è Chaenomeles japonica ed è un arbusto di origine asiatica adatto sia come soggetto singolo, sia per formare siepi; è disponibile in svariati ibridi.

Si tratta di una pianta estremamente rustica, adatta per giardini anche piccoli e apprezzata da quanti possono dedicare un limitato tempo alla cura del verde.

La sua fioritura, che avviene appena la temperatura volge al bello, segna in modo inconfondibile la fine dell’inverno (ma non delle gelate a cui peraltro appare  insensibile). Come la forsizia e la magnolia japonica, segna un deciso cambio della stagione e riesce, con il suo colore, a illuminare il giardino, diventando l’indiscusso protagonista di queste settimane.

I suoi fiori, simili a quelli del melo, ma ben più numerosi e dal colore più intenso, appaiono sui rami ancora privi di foglie e sono perciò ancora più vistosi. Poco ramificato, ma spesso ricoperto di spine, questo arbusto ha una crescita lenta e può essere coltivato, oltre che ad alberello, in modo che ricopra una grata o una parete. 

Verso la fine della fioritura appaiono le foglie e, nella tarda primavera, anche dei piccoli frutti, simili a delle mele cotogne, ma più piccoli. Sono commestibili, anche se il gusto è acidulo e un po’ allappante. Si mangiano normalmente dopo cottura e possono servire per creare composte oppure per arricchire quelle di altra frutta sfruttando l’alto contenuta di pectina.

Come coltivarlo

Il cotogno del Giappone è una pianta molto rustica che non richiede alcuna particolare attenzione; la sua coltivazione risulta molto semplice perché tende ad accontentarsi di ciò che trova. Potature, concimazioni, irrigazioni sono ridotte al minimo e anche chi non dispone del classico “pollice verde” può ottenere da questa pianta grandi soddisfazioni.

Viene venduta sempre in vaso; per questo possiamo trapiantarlo in piena terra o in vaso praticamente tutto l’anno, facendo eccezione per i periodi più freddi, quando il terreno è gelato, e quelli più caldi quando le piante sono soggette a invitabile stress idrico e termico. 

Il momento migliore per piantarlo è, come per qualdiasi arbusto, il mese di ottobre; così facendo la pianta avrà tutto l’inverno per attecchire ed affrancarsi bene senza bisogno di alcuna cura. Già dalla prima primavera potrà vegetare e fiorire. 

Se l’acquistiamo in queste settimane (scegliamo una pianta di due anni), lasciamola acclimatare nel nostro giardino per una settimana prima di interrarla. Quindi facciamolo senza toccare il pane di terra, pena l’interruzione della fioritura.

Scegliamo una posizione assolata o dove il sole possacolpirla per qualche ora al giorno. L’esposizione influenza direttamente la fioritura.

Per il trapianto valgono le solite raccomandazioni: sassi sul fondo della buca come strato drenante e terra mescolata a un paio di manciate di letame pellettato. La terra del giardino va normalmente bene, ma se temiamo che possa essere un po’ calcarea, aggiungiamo alla terra della torba acida. Lasciamo una piccola conca alla base della pianta per raccogliere l’acqua e favorire l’attecchimento. Ci basterà bagnare due-tre volte al mese, regolandoci secondo la temperatura. Questa precauzione è importante nei primi due anni: poi la pianta, una volta attecchita, si accontenterà delle piogge e dovremo intervenire solo in caso di prolungata siccità.

Potiamo la pianta dopo la fioritura oppure dopo la maturazione dei frutti (a novembre); obiettivo della potatura è dare all’arbusto un aspetto più ordinato. Per migliorare la densità della pianta, ci basterà, nei primi due anni tagliare dopo la fioritura i rami più giovani lasciando soltanto due gemme per ramo.

Come moltiplicarlo

Possiamo moltiplicare il cotogno utilizzando i semi che si trovano nei frutti maturi. I semi vanno posti in una vaschetta (come quella in cui è venduta la frutta e la verdura) riempita di sabbia umida. Copriamoli con la sabbia e lasciamo il nostro semenzaio all’esterno per tutto l’inverno controllando che la sabbia rimanga umida. La germinazione è lenta, ma a primavera avremo ottenuto diverse piantine da lasciar irrobustire in vaso per due inverni prima di metterle in piena terra.

Possiamo moltiplicare la pianta anche per talea; per questo dobbiamo utilizzare ad agosto i rami laterali semilegnosi. Realizziamo delle talee di circa 10 cm di lunghezza e inseriamole in un terriccio leggero. Copriamo le nostre talee con un sacchetto di plastica trasparente bucato per mantenere alta l’umidità e conserviamole in una posizione luminosa, non colpita dal sole. Lasciamo irrobustire le nostre nuove piantine per tutto l’inverno prima di metterle stabilmente a dimora in giardino.

Piante carnivore

Le piante carnivore

Non è difficile, visitando un vivaio, di imbattersi in alcune piante carnivore, affascinanti quanto originali nel loro modo di vivere e procurarsi il cibo. Il loro fascino deriva in gran parte dal fatto di essersi evolute in modo diverso dalle altre piante, cercando i nutrienti necessari al loro sviluppo invece che nel terreno negli insetti.

Originarie di ambienti molto inospitali, dove le sostanze organiche sono rare o assenti, queste piante si sono dovute evolvere mettendo a punto particolari strategie con cui catturare le prede e digerirle. Siamo quasi su un pianeta diverso da quello vegetale a cui siamo abituati: queste piante non sfruttano gli insetti per l’impollinazione, ma se ne nutrono, catturandole e digerendole.

Non si affidano quindi ai batteri e alle muffe del suolo per assorbire nutrienti già metabolizzati, ma metabolizzano da loro i piccoli animali che sono in grado di catturare. Si tratta per lo più di piccoli insetti che vengono attirati e poi intrappolati sfruttando meccanismi molto singolari.

Le strategie messe in atto sono diverse: possiamo dividere queste piante in base al tipo di trappola impiegato. Vi sono infatti

      • trappole a scatto,
      • trappole adesive,
      • trapone a pozzo
      • trappole a risucchio.

Tutte le trappole sono associate a colori, odori, enzimi atti ad attirare la preda inducendola a entrare nella trappola.

Una trappola a scatto

Al primo tipo (trappola a scatto) appartiene la Dionaea in cui due foglie modificate formano una specie di bocca che si chiude velocemente intrappolando il malcapitato insetto che vi si dovesse posare. In questo meccanismo possiamo vedere un rudimentale “sistema nervoso”, ovvero la capacità di avvertire la presenza di un insetto nella trappola e la capacità di muovere velocemente le foglie per intrappolarla.

Non è una muscolatura propriamente detta: possiamo osservare un’analoga reazione nelle foglie della mimosa pudica, quella piantina a cui, se tocchiamo le foglie, le vediamo chiudersi rapidamente. Si tratta di una reazione chimica di una particolare fibra, evoluzione essa stessa di quella reazione che fa aprire e chiudere i fiori o orientare le foglie, o far ruotare il capolino del girasole.

Ma qui troviamo concentrate queste caratteristiche e non possiamo che rimanerne affascinati. 

Come la carta moschicida

Una tipica trappola adesiva è quella della Drosera le cui foglie producono un liquido luccicante e adesivo che attrae gli insetti. Questi, una volta posati, non riescono più a staccarsene e la pianta ha tutto il tempo per assorbirla. Ci sono piante anche nostrane che sfruttano questo sistema. In Italia abbiamo la Proboscidea louisianica (una pianta di origine americana chiamata normalmente “artigllio del diavolo”), un’erbacea annuale le cui foglie sono coperte da una resina appiccicosa (e di odore sgradevole) su cui gli insetti restano appiccicati e che vengono assorbiti dagli stomi fogliari. Questa trappola potrebbe apparire banale se non fosse per il fatto che le foglie, oltre a produrre la resina, sono in grado di digerire l’insetto come farebbero con un fertilizzante fogliare.

Le trappole “a pozzo”

E poi ci sono le piante che hanno trasformato e conformato le loro foglie in vere trappole senza uscita, quelle cosiddettte “a pozzo”. L’insetto entra, attirato da odori, colori, enzimi particolari, e non riesce più a uscirne; e nel fondo del pozzo, un vero sistema digerente simile, idealmente, a uno stomaco (anche nella forma). In realtà il fondo è pieno di acqua e batteri che, in simbiosi con la pianta, svolgono la funzione di digestione. Parliamo delle piante del genere Sarracenia dove le foglie sono conformate a formare un tubo, e Nepenthes, i cui “stomaci” pendono dai fusti. Affascinanti e inquietanti insieme.

A risucchio

Esiste anche un altro modo per catturare l’insetto ed è quello utilizzato, ad esempio, dalla Utricularia, un genere di piante che vanta ben 215 specie e che dispone di un sistema molto sosfisticato. L’utriculo (nome della trappola che deriva dal latino e significa piccolo otre, bottiglia) ha pareti sottili ed elastiche e la forma di una fava: al suo interno si forma il vuoto. La trappola prevede un’apertura circolare mantenuta normalmente chiusa da una membrana elastica e dalla produzione di mucillagini zuccherine che hanno il compito di attirare la preda. Quando questa si avvicina la “bocca” si apre e l’acqua viene risucchiata, trascinando all’interno la preda che viene digerita da particolari enzimi. Mentre per la digestione sono necessarie alcune ore, la cattura vera e propria dura circa un centesimo di secondo e dopo un quarto d’ora la pianta è già pronta a “scattare” di nuovo.

Come coltivarle

Quasi tutte le piante carnivore sono di facile coltivazione in casa o sul balcone purché se ne soddisfino le poche elementari esigenze. Innanzitutto hanno bisogno di tanta luce, anche del sole diretto. Durante i mesi invernali vano tenute in casa, possibilmente vicino a una finestra esposta a Sud. Possiamo anche utilizzare delle lampade artificiali per assicurare l’illuminazione adeguata, rispettando la durata naturale del giorno. Con la primvera e l’assestamento della temperatura (attenzione a quella notturna) intorno ai 20°C possiamo metterle sul balcone, dove sarà più facile assicurare tutta la luce di cui hanno bisogno. Essendo originarie per lo più di zone paludose, queste piante hanno bisogno di avere le radici sempre a contatto con l’acqua. Mettiamo dunque il nostro vaso su un largo sottovaso e bagniamole regolarmente riempiendo il sottovaso di acqua demineralizzata. Il calcio o il cloro contenuta nell’acqua dell’acquedotto è solitamente poco gradita. Se non abbiamo modo di usare l’acqua piovana, usiamo l’acqua minerale o quella demineralizzata. A primavera possiamo anche rinvasarle. Per farlo impieghiamo terriccio per acidofile, oppure della torba acida mescolata a della sabbia ed evitiamo sempre di toccare il pane di terra intorno ale radici.

Le campanelle

Le campanelle

Le chiamiamo comunemente campanelle per la forma dei loro fiori, ma si tratta proncipalmente di piante appartenenti a generi diversi: la Campanula e l’Ipomoea. Le prime sono erbacee annuali o perenni adatte alla coltivazione in vaso e in giardino dove possono formare dense macchie di colore; le seconde, chiamate anche campanelle rampicanti, sono rampicanti vigorosi a rapida crescita, annnuali o coltivate come tali, atte a decorare qualsiasi supporto.

Le campanule

Campanula alliarifolia
Campanula arvatica
Campanula aucheri
Campanula barbata
Campanula caespitosa
Campanula carpatica
Campanula cochlearifolia
Campanula excisa
Campanula fragilis
Campanula garganica
Campanula glomerata
Campanula isophylla
Campanula lactiflora
Campanula latifolia
Campanula medium
Campanula morettiana
Campanula portenschlagiana
Campanula pyramidalis
Campanula rapunculus
Campanula rotundifolia
Campanula trachelium

A questo genere appartengono molte specie, tutte accomunate da un fiore caratteristico a cinque petali, aperto, nei più diversi colori dal bianco al rosa e dall’azzurro al viola. Fioriscono tra maggio e agosto e amano le posizioni semiombreggiate. Ideali per decorare la base dei vasi più grandi, a ridosso delle siepi, sui davanzali non colpiti dal sole, si prestano a creare vistose macchie di colore nei giardini sassosi dove si impiegano come soggetti isolati.

Le diverse specie differiscono, oltre che per il colore dei fiori, anche per il portamento, più o meno eretto; alcune specie rimangono basse e possono essere usate come tappezzanti, altre si elevano fino a 60 cm di altezza e possono per questo essere sfruttate in una bordura.

Le ipomee

Ipomoea nil
Ipomoea purpurea
Ipomoea quamoclit

Le ipomee sono invece erbacee rampicanti, caratterizzate da lunghi tralci che crescono velocemente durante la stagione. Annuali o perenni, amano le esposizioni soleggiate e perdono la parte aerea con l’arrivo del freddo invernale. I loro fiori sono più grandi e nei colori bianco, rosso, viola, secondo la specie. Si aprono al mattino e si richiudono generalmente a metà mattina, a meno che il cielo sia coperto. Hanno una notevole velocità di crescita e spesso si attorcigliano ad altre piante per ergersi alla ricerca del sole. 

Come usarle

Possiamo usare le campanule come soggetti isolati o per decorare i vasi: in una cassetta da 50 cm possiamo metterne due, magari insieme a una pianta verde che ne esalti la fioritura.

La fioritura ridotta a poche settimane ne destinano l’impiego come piante gregarie insieme ad altre specie, a completamento delle composizioni o alla base di  arbusti o alberelli.

Le ipomee, invece, grazie alla loro velocità di crescita, sono ideali per coprire velocemente una grata o una rete, ma anche per ingentilire una siepe. Necessitano di un supporto per crescere: basta un palo o il tronco di un alberello, ma possiamo sfruttarle per dare rapido colore a una pergola o a un arco. Possiamo anche decidere di lasciarle ricadere da un terrazzo o una finestra con indubbio effetto scenografico.

Ginepro_descrizione

Il ginepro

Il ginepro appartiene a quel mondo di freschezza che sono le conifere, tre famiglie di refrigerio che comprendono gli abeti, pini, larici, cipressi, cioè tutte le piante amanti della montagna, sempreverdi e profumate di resina. Le conifere hanno soprattutto due cose in comune: producono i coni, cioè quelle che di solito chiamiamo pigne e, tutte quante, non si lasciano accarezzare facilmente per via delle foglie a forma di aghi appuntiti.

Il ginepro non fa eccezione: ben inserito all’interno del “clan” familiare (è primo cugino del cipresso), è diventato famoso grazie alle sue bacche dalle quali si ricava un olio prezioso per le proprietà disinfettanti e il suo aroma di bosco.

Oggi ritroviamo il suo aroma in numerosi prodotti (dalle caramelle balsamiche ai numerosi prodotti da toeletta), ma un tempo erano soprattutto le corsie di ospedale o le grandi chiese alla ricerca di purificazione a profumare di resina.

Rami di ginepro venivano bruciati all’interno di questi luoghi per diffondere il benefico aroma e tener lontani i mali del corpo e dello spirito. Almeno fino a quando gli Olandesi non scoprirono che con le loro bacche si poteva aromatizzare molto bene anche il gin, cosa che, da lì a poco, si dice abbia modificato un poco le antiche pratiche…

La pianta

Il suo nome botanico è Juniperus communis e lo troviamo un po’ ovunque, vicino al mare, nei boschi, in Africa fino al Nord Europa, ma, come i suoi parenti, ama la montagna e cresce bene fino a 1.700 metri di altitudine. Si presenta come un cespuglio fitto con foglie aghiformi lunghe circa mezzo centimetro che partono dal ramo riunite a tre a tre a difesa della pianta. L’espressione “ficcarsi in un ginepraio” per indicare una situazione da cui è difficile districarsi rende bene l’idea di quanto possa essere spinoso questo cespuglio.

È una pianta molto rustica che ama il terreno ben drenato, anche sassoso e si presta al consolidamento di scarpate e terreni scoscesi. Ama le esposizioni soleggiate, ma cresce comunque anche in posizioni a mezz’ombra. Nei primi anni di vita ha bisogno di essere annaffiato nei mesi più caldi per evitare che il terreno si asciughi completamente. Una volta adulta provvede a se stessa e resiste senza problemi anche al gelo prolungato così come alle elevate temperature estive.

Se lo coltiviamo nel nostro giardino forniamogli del concime maturo all’inizio della primavera o del fertilizzante per piante verdi, meglio se a lenta cessione.

Possiamo moltiplicarlo per seme o, più facilmente per talea prelevando alla fine della primavera, gli apici giovani della pianta e interrandoli in un mix di terra e sabbia.

Può essere attaccato dalla cocciniglia o dagli afidi del cedro che rovinano velocemente il fogliame, ma si dimostra raramente sensibile alle malattie più comuni.

Le bacche, numerose e dal tipico colore violaceo, impiegano due anni per giungere a completa maturazione. Il loro utilizzo per aromatizzare la carne e in particolar modo la selvaggina è accertato fin dai tempi più antichi.

Varietà per tutti i gusti

Sebbene la pianta sia di origine alpina, ne esistono talmente tante varietà da trovare impiego in qualsiasi luogo, clima e… angolo.

Potremo averne un piccolo esemplare “nano” in vaso o un tipo “orizzontale” in cassetta di legno, un elegante “colonnare” sulla porta di casa, o una splendida composizione di diversi colori e altezze. Basta tener conto della crescita e della forma, scegliere quello giusto per noi e dedicargli qualche piccola cura. Teniamo presente, comunque, che la sua velocità di crescita, pur variando molto da una varietà all’altra, è piuttosto lenta.

Non sono vere bacche

Come si chiamano: coccole o galbuli

Cosa sono: strutture carnose che racchiudono i semi. Non sono frutti, ma in un certo senso, dobbiamo considerarle come un tipo particolare di pigna.

Come sono: piccole palline grandi circa mezzo centimetro, di colore nero o bluastro opaco, dal forte sapore di bosco. La polpa interna, color marrone chiaro, è morbida e dolciastra.

Chi le produce: la pianta femminile, che deve però essere sempre piantata vicino a un esemplare maschile.

Quando maturano: soltanto ogni due anni, in autunno 

Come si raccolgono: si staccano dai rami con le dita soltanto le bacche molto scure, cioè ben mature, da agosto a novembre.

Come si conservano: si fanno essiccare al sole

Ginepro

Pieris_descrizione

La Pieris

La Pieris (il cui nome botanico è Pieris japonica) è un genere comprendente una decina di specie che appartengono alla famiglia dell’Ericaceae. Questa pianta è caratterizzata da una estrema facilità di coltivazione e dai suoi bellissimi colori: le foglie sono rosse o aranciate da giovani, mentre sfoggiano un bel verde brillante da adulte; i fiori, invece, hanno la forma di piccole campanule, sono riuniti in grappoli penduli ed esibiscono un colore bianco o rosato. 

È un bell’arbusto che cresce bene nelle posizioni a mezz’ombra, in giardino come sul terrazzo. Una Pieris in salute non potrebbe sopportare i raggi del sole diretti , così come non tollera la calura estiva. Le temperature estreme non la spaventano: può sopportare quelle che vanno dai -10°C ai 30-35°, mentre preferisce posizioni al riparo dai venti e da correnti d’aria e un clima mite, ma non troppo secco. Durante le settimane più calde dell’anno è bene rinfrescare il fogliame con frequenti nebulizzazioni di acqua non calcarea.

Il terreno ideale

Predilige terreni con pH acido (5-5,5), ricchi di materia organica, ben drenati, ma freschi e umidi. Condivide il terreno  con camelie, azalee e rododendri: se ne abbiamo già in giadino, ci  basterà piantarla vicino a queste con cui, tra l’altro, condivide anche le esigenze di luce e acqua. Diversamente, facciamo una buca d’impianto ben più grande del pane di terra e utilizziamo per riempirla del terriccio per acidofile. Ogni anno, in autunno, stendiamo sulla superficie del terreno uno spesso strato di torba acida: questo garantirà la corretta acidità del terreno per tutto l’anno. 

La Pieris non è una pianta esigente in fatto di concimazione: ci basterà interrare all’inizio della primavera del letame maturo (anche pellettato) che oltre a un nutrimento completo offre il vantaggio di acidificare il terreno. 

Quanto bagnarla

È una pianta che ama un terreno fresco; quindi irrighiamola con regolarità durante tutta la bella stagione attendendo sempre che la superfice del terreno appaia asciutta prima di bagnare, ma evitando comunque pericolosi ristagni.

In vaso

Scegliamo inizialmente un contenitore appena più grande di quello in cui acquistiamo la pianta; lo sostituiremo ogni anno a ottobre con uno più grande fino a raggiugere un contenitore di circa 40 cm di diametro e profondo altrettanto. Creiamo uno strato di drenaggio con argilla o ghiaia più alto del sottovaso o sospendiamo il vaso sul pavimento usando tre o quattro tappi di plastica: questo faciliterà lo sgrondo dell’acqua in eccesso. Utilizziamo solo terriccio per acidofile e, al momento dell’impianto, arricchiamolo con due manciate di letame pellettato. Per quanto riguarda l’irrigazione, dobbiamo essere più regolari possibile perché la terra si asciuga più rapidamente. Vale sempre la pena fornire poca acqua alla volta con regolarità piuttosto che tanta acqua sporadicamente.

Annaffiando con acqua del rubinetto (generalmente calcarea) si riduce poco alla volta l’acidità del terreno. Teniamolo presente usando concime per acidofile (ogni due settimane da marzo a tutto settembre) e migliorando l’acidità del terreno ogni anno, a ottobre, distribuendo sulla superficie della torba acida.

Come moltiplicarla

Possiamo moltiplicare la Pieris in tre modi: per seme, talea o propaggine. Il più rapido è per talea, da fare a fine agosto usando la cima di un fusto, tagliato per circa 10 cm, e interrandolo in un terreno acido alleggerito con sabbia. La talea va laciata in posizione luminosa e mantenuta umida coprendola con un sacchetto trasparente o un mezza bottigllia di plastica. A primavera potrà essere trapiantato in un vaso più grande perché si irrobustisca prima della definitiva messa a dimora.

Parassiti e malattie

Questa pianta non va normalmente soggetta all’attacco di parassiti, ma può soffrire per l’eccesso di acqua che porta a marciumi radicali o per una scarsa acidità del terreno che porta a clorosi ferrica, ovvero al mancato assorbimento del ferro e di altri microelementi fondamentali per la crescita. Il colore sbiadito delle foglie ci segnala in modo inequivocabile la clorosi contro cui possiamo rimediare tempestivamente con un prodotto come Ferro liquido di Compo, e con l’acidificazione del terreno mediante torba acida, lupini tritati o un prodotto acidificante di facile reperimento.

Fiori che non temono il freddo

Fiori che non temono il freddo

L’inverno, si sa, è il momento in cui le piante riposano e per questo è avaro di fiori. Ciò non di meno possiamo rendere meno tristi i mesi invernali con alcune specie che, in barba al freddo e persino alla neve, fioriscono proprio durante la brutta stagione.

E questi fiori sono tanto più graditi perché quasi inaspettati in mezzo a tante piante spoglie.

Ce ne sono di adatte a stare in casa, altre che si prestano a decorare terrazzi e davanzali, altre ancora che possono dare colore al giardino.

Eccone alcune.

Camelia

Arbusto o alberello apprezzato per la sua rusticità e per il fatto di fiorire tra ottobre e marzo (secondo la varietà). I fiori sono semplici o semidoppi, rosa o rosso magenta, leggermente profumati. Possiamo coltivarla con successo anche in vaso.
⇒ Camelia sasangua

Ciclamino

Piccola pianta tipica del sottobosco, ideale per decorare quei punt del giardino o quei terrazzi dove il sole non arriva. Ama l’ombra e fiorisce in modo ininterrotto per tutto l’inverno. Vi sono specie adatte anche a vivere in casa, ma il calore e il clima asciutto dell’appartaento ne limita la fioritura e, ben presto, anche la bellezza. ⇒  Ciclamino

Bucaneve

È un’erbacea perenne di cui si contano una ventina di specie, tanto precoci da fiorire anche sotto la neve in pieno inverno. Si origina da un bulbo che può esser piantato in piena terra o in vaso a ottobre.
⇒ Bucaneve

Mahonia

Arbusto a sviluppo lento in grado di fiorire molto precocemente sella seconda metà dell’inverno prima di altre piante. Produce pannocchie gialle molto profumate. Può essere coltivata in vaso e può essere utilizzata in giardino anche per formare siepi. ⇒ Mahonia

Cotogno giapponese

È noto come Cotogno da fiore o Fiore di pesco per i suoi fiori nelle tonalità del rosa carico che sbocciano molto precocemente, già a partire dalla fine di dicembre, quando la pianta è ancora totalmente priva di foglie. Coltivabile in vaso, dà il meglio di sé in piena terra.
⇒ Cotogno giapponese

Corbezzolo

Elegante arbusto di medie dimensioni sempreverde che cresce anche spontaneo e che fiorisce all’inizio dell’inverno contemporaneamente alla maturazione dei frutti, delle bacche commestibili dal buon sapore.
⇒ Corbezzolo

Elleboro

Erbacea perenne denominata comunemente Rosa di Natale perché sboccia tipicamente tra dicembre e febbraio. I fiori sono di colore bianco puro per assumere poi sfumature rosate. Si trovano varietà con fiori magenta scuro, verdastro o rosa tenue. Pianta da esterno, che cresce bene sia in piena terra sia in vaso. ⇒ Elleboro

Calicanto

Arbusto dall’aspetto disordinato ricco di fusti molto ramificati che fiorisce prima delle foglie nel tardo inverno, a febbraio-marzo, indipendentemente dal clima. I fiori, di colore giallo pallido, compaiono sui rami spogli e sono molto profumati.
⇒ Calicanto

Amamelide

Originaria dell’America settentrionale, è un arbusto rustico molto decorativo che fiorisce a partire da gennaio e fino alla primavera sui fusti ancora privi di foglie. I fiori sono gialli con sfumature scure al centro e sono molto profumati. ⇒ Amamelide

Corylopsis

Denso arbusto deciduo originario dell’Himalaya e della Cina caratterizzato da fioriture abbondanti alla fine dell’inverno, ben prima dell’apparizione delle foglie. I suoi fiori, piccoli e gialli, sono riuniti in racemi pendenti.
⇒ Corylopsis

Gelsomino di San Giuseppe

È così chiamato perché al Nord fiorisce tipicamente a marzo, ma, dove il clima è appena più mite, sui laghi e in Riviera, inizia a fiorire già da fine gennaio sui rami ancora spogli. I fiori, gialli, riempiniono i fusti. È un arbusto che può crescere in vaso ma che dà il meglio di sé in piena terra.
⇒ Jasminum nudiflorum

Forsizia bianca

Originario della Corea, questo arbusto di dimensioni contenute e a crescita lenta produce moltissimi fiori bianchi già a partire da gennaio, in largo anticipo sulla Forsizia tradizionale di colore giallo. Può crescere in vaso in posizione luminosa, colpita dal sole per qualche ora al giorno. ⇒ Forsizia bianca

Viola del pensiero

La chiamiamo viola del pensiero e, se seminata a fine estate, fiorisce per tutto l’inverno quasi indipendentemente dal clima. Non teme il gelo anche prolungato ed è ideale per colorare terrazzi e giardini in inverno. Possiamo anche acquistarne delle piantine e piantarle ora in posizione assolata. ⇒ Viola del pensiero

Lingua di suocera

È una pianta grassa con fusti appiattiti che vive bene in casa al fresco e che ha la caratteristica di fiorire proprio per le feste natalizie con grandi fiori rossi, rosa o violacei, molto vistosi. È chiamata per questo anche cactus di Natale.
⇒ Lingua di suocera

Strelitzia_specie

La Strelitzia: le specie

Strelitzia reginae

È la specie più diffusa e conosciuta. Ha foglie ovali, ellittiche, con una nervatura centrale molto marcata, lunghe fino a 50 cm e larghe 20, portate da piccioli lunghi fino a un metro. I fiori sono di colore giallo-arancione con tre tepali azzurri.

Strelitzia alba

Nota anche come Strelitzia augusta, è originaria delle regioni meridionali dell’Africa. Ha foglie più strette e allungate rispetto alla specie Reginae e può raggiungere dieci metri di altezza. I fiori sono bianchi, avvolti da una spata di colore verde cupo tendente al porpora.

Strelitzia juncea

Originaria del sud dell’Africa, ha caratteristiche foglie aghiformi erette che possono raggiungere anche due metri di altezza. Il suo fiore è in tutto simile a quello della S. reginae e fino al 1974 era considerata una varietà della S. parvifolia, poi elevata al rango di specie.

Strelitzia nicolai

Originaria del sud America, è una pianta imponente con fusti legnosi che può raggiungere gli otto metri di altezza. Le foglie sono molto grandi, lunghe fino a tre metri e larghe 1,5 metri. I fiori sono azzurri, bianchi o lilla con la spata di colore blu molto scuro.

Strelitzia_descrizione

La Strelitzia

Si raconta che Francis Masson, il miglior giardiniere dei Kew Garden di Londra nel XVIII secolo, fu il primo occidentale a scoprire la pianta nel lontano 1772. Durante un viaggio in Sudafrica alla ricerca di piante esotiche, rimase stupito di fronte alla inconsueta bellezza di questo fiore dalla strana forma. 

L’anno successivo riuscì a farne arrivare in Inghilterra una pianta:  fu la prima ad arrivare in Europa. Ci vollero molti anni però prima che riuscisse a fiorire nelle serre della regina. Ancora oggi, dopo quasi 240 anni dalla loro scoperta, i fiori della strelitzia suscitano stupore e ammirazione. Nel nostro Paese, dopo decenni di coltivazione per il fiore reciso e come pianta da giardino per i climi miti, la strelitzia prende sempre più piede come pianta in vaso. I vivaisti stanno ottenendo piante dalle dimensioni sempre più contenute che si possono tranquillamente coltivare in casa.

Un nome, un legame

I fiori della strelitzia, di colore arancione e viola, ricordano molto la paradisea, un bellissimo uccello della Nuova Guinea. Per questo la pianta viene comunemente chiamata uccello del paradiso da noi europei.

Oltre a questa somiglianza la strelitzia ha però un legame ben più stretto col variopinto mondo degli uccelli. Nel corso dell’evoluzione ha infatti affidato a un uccello piuttosto che agli insetti la sua possibilità di riprodursi.

I fiori della strelitzia vengono impollinati dalla Nectarinia afra, un uccelletto sudafricano molto simile a un colibrì.

Questa nettarina, che, come dice lo stesso nome, si nutre del nettare, infila il suo lungo becco all’interno del fiore per nutrirsi. Tale movimento fa aprire le antere, gli organi sessuali maschili del fiore che rilasciano il polline. Il polline si attacca alle piume del petto dell’uccello e viene così trasportato su altri fiori. 

Solo grazie alla nettarina la pianta riesce a produrre i semi e a riprodursi.

Vista da vicino

Il nome scientifico della pianta è Strelitzia reginae. È una pianta erbacea e cresce come un fitto cespuglio dalla cui base partono delle foglie coriacee ed allungate che possono raggiungere i settanta centimetri di lunghezza. Queste sono portate da un lunghissimo stelo. Nel complesso la pianta può raggiungere i due metri di altezza. I fiori sbocciano numerosi dall’autunno alla primavera. Sono grandi circa quindici centimetri e sono formati da alcuni petali arancioni (sepali) e da altri petali viola.

Da un unico bocciolo, in realtà una spata, si aprono in successione fino a quattro-cinque fiori (altre specie di strelitzia dalla crescita arborea hanno fiori più grandi di colore bianco). I fiori durano più di un mese anche quando vengono tagliati e messi in acqua. La pianta, sia in piena terra che in vaso, cresce molto lentamente.

La Strelitzia reginae appartiene alla famiglia botanica delle Strelitziacee, ma su molti testi si trova come appartenente alla famiglia delle Musacee, la stessa famiglia a cui appartengono i banani nella quale la pianta era inserita dai botanici fino a pochi anni fa.

L’esposizione corretta

La strelitzia cresce bene in pieno sole o a mezz’ombra. Si può coltivare all’aperto tutto l’anno solo nelle regioni con inverni miti (in Liguria ad esempio è fra le piante più utilizzate nelle aiuole di parchi e giardini pubblici). Nelle altre regioni d’Italia dobbiamo invece coltivarla in vaso e riportarla in casa alla fine di ottobre.

La pianta in vaso è molto decorativa e in casa diventa un’elegantissima e originale pianta d’appartamento.

Sistemiamola in una posizione molto luminosa, ad esempio davanti ad una grande finestra, e possibilmente in un ambiente che si mantiene normalmente fresco e asciutto.

L’ideale sarebbe tenerla nell’androne delle scale o in un altro locale in cui la temperatura si mantiene intorno ai 10-15° C e portarla in casa solo quando deve figurare.

Quale terreno

La strelitzia si adatta a tutti i tipi di terreno, ma il terreno ideale deve essere leggero e molto ricco di sostanza organica.

Se è piantata in piena terra la strelitzia resiste a periodi di siccità anche prolungati. In vaso è un po’ più sensibile alla mancanza d’acqua perché le radici in questo caso si asciugano velocemente. Come regola dobbiamo annaffiare la pianta in modo che il terreno rimanga sempre leggermente umido: una volta ogni quindici giorni in inverno e una volta la settimana in estate. Se però manchiamo da casa tre settimane e nessuno può annaffiare non dobbiamo preoccuparci per la nostra pianta; mettiamola al fresco e resisterà anche senz’acqua.

Da settembre a giugno, una volta al mese, somministriamo alla pianta un concime liquido per piante da fiore da diluire nell’acqua delle annaffiature.

Il giusto vaso

Per una singola pianta adulta di strelitzia serve un vaso di trenta centimetri di diametro. Man mano che accanto alla pianta madre spunteranno altre piantine e si creerà un folto cespuglio, dovremo aumentare le dimensioni del vaso oppure dividere le piante.

È meglio utilizzare i vasi di plastica perché hanno due vantaggi: sono più leggeri e maneggevoli e trattengono meglio l’umidità. 

In questo periodo si trovano in commercio strelitzie fiorite in vasi di dimensioni ridotte. Ci converrà aspettare la fine della fioritura, cioè la primavera inoltrata, per rinvasarle in un vaso più largo.

Moltiplichiamola

Possiamo ottenere nuove piante a partire dai semi oppure dalle piantine che crescono alla base delle piante più grandi, cioè per divisione dei cespi.

Visto che da noi la pianta non produce semi (perché mancano le nettarine, gli uccelli che impollinano i suoi fiori) questi li dobbiamo per forza acquistare (una bustina costa circa 5 euro). I semi vanno seminati in primavera. 

Interriamoli a circa due centimetri di profondità in un vaso riempito con del buon terriccio e sistemato al sole. 

Manteniamo il terreno sempre umido. Alla fine dell’estate, quando le piantine saranno alte circa dieci centimetri, trapiantiamole in vasetti singoli del diametro di dieci centimetri. 

Un anno dopo rinvasiamole in un vaso più grande. Partendo dal seme dovremo però armarci di pazienza e aspettare circa cinque-sei anni per avere piante fiorite.

La divisione

Per avere nuove piante a partire da un unico cespuglio basta invece dividere le giovani piante dalla pianta madre nel momento in cui la rinvasiamo. Afferrandole bene alla base cerchiamo di staccarle dalla madre senza però rompere le radici carnose. Se è necessario utilizziamo un coltello affilato, pulito e disinfettato, per dividere le piante nel punto in cui sono attaccate tra loro. Piantiamo poi le piante così ottenute in dei vasi riempiti con terriccio nuovo.

10 piante da regalare a Natale

10 piante da regalare a Natale

Ricevere una pianta in dono è sempre cosa gradita. Invece di strani oggetti di dubbia utilità, la pianta è qualcosa di vivo che arricchisce la casa e chi la possiede. È inoltre un regalo di facile reperibilità e di costo contenuto. La scelta è tale da permetterci di scegliere non solo la specie, ma anche le dimensioni e il conseguente prezzo.

Possiamo arricchire il nostro dono con un coprivaso oppure creare da noi delle piccole composizioni avvicinando più piante piccole in una ciotola. Insomma, le possibilità sono tante e per tutte le tasche. Di certo c’è comunque il fatto che il dono sarà gradito e, con un minimo impegno, resisterà per anni e diverrà sempre più bello.

Attenzione al trasporto

Acquistando una pianta in questo periodo dovremo fare attenzione ad una sola cosa: gli sbalzi termici. Tra il negozio, la nostra auto, la nostra casa e poi ancora un ulteriore trasporto, la pianta rischia di passare da una temperatura ad un’altra molto rapidamente e più volte nell’arco di una sola ora.

Proteggiamola perciò avvolgendola in un giornale o in un cartone. Quando la portiamo a casa, lasciamola dove possa avere una temperatura simile all’ambiente in cui l’abbiamo acquistata. Non lasciamola vicino a un termosifone o una fonte di calore; mettiamola invece davanti a una finestra dove possa ricevere tanta luce, controlliamo che il terreno del vaso sia umido (il peso stesso del vaso ce lo indicherà chiaramente, se l’ambiente è caldo nebulizziamo le foglie con acqua non calcarea. 

Ecco perciò delle piante di facile reperibilità che possiamo utilizzare come dono. A noi basta pensare alla casa in cui dovranno stare per scegliere le dimensioni del fogliame e il possibile impatto che potranno avere.

Fatsia

Chiamata anche Aralia, è una pianta destinata ad occupare in modo importante un angolo della casa. Cresce fino a 150 cm di altezza e si estende per circa 60 cm. Ha grandi foglie verde lucido capaci di nobilitare qualsiasi ambiente. Facile da coltivare.

Lingua di suocera

È una pianta grassa dal portamento inconsueto con fusti sia eretti sia ricadenti. La sua bellezza sta nel fatto che proprio durante le feste fiorisce e, se ben trattata, la sua fioritura è veramente copiosa e non passa mai inosservata. Inoltre, come le cactacee, ha bisogno veramente di poco per crescere. Adatta quindi anche a chi non ha il pollice verde.

Pianta del caffè

La Coffea arabica è una bella pianta verde adatta a vivere in casa dove chiede solo tanta luce e umidità. È una sempreverde dal bel fogliame verde scuro brillante che in estate produce dei fiorellini bianchi profumati a cui possono seguire (ma in casa non illudiamoci troppo) delle bacche rosse (sono chicchi di caffè).

Calatea

È la classica pianta d’appartamento dalle belle foglie variamente sfumate di verde che può raggiungere 60 cm di altezza. Perfetta se sollevata da tera di 40-50 cm, vive bene anche in posizione semiombreggiata. Non richiede cure particolari e fa sempre una bella figura.

Calatea crollata

Diversa dalla precedente, questa specie è caratterizzata da vistosi fiori arancioni già presenti in questo periodo. Le sue dimensioni contenute si prestano a un piccolo regalo oppure a una composizione in una ciotola assieme ad altre piante verdi.

Anturio

È un classico che trova molti estimatori e altrettanti detrattori. La sua caratteristica principale è nei fiori gialli a spiga contornati da una lucente brattea rossa. Non è una pianta facile: ha bisogno di luce e tanta umidità. È destinata a chi passa normalmente il tempo in casa e se ne può prendere cura con regolarità.

Aspidistra

Questa è una sempreverde ideale per chi non ha il pollice verde: resiste bene alla siccità, all’incuria, alla scarsità di luce, persino al fumo. Le sue lunghe foglie verde lucido (in alcune varietà possono essere variamente variegate) e il portamento ne consigliano il posizionamento su un ripiano, un tavolo, un sostegno a 70-80 cm di altezza.

Papiro

Bella pianta dal portamento originale che richiede solo una posizione luminosa e un ampio sottovaso sempre pieno d’acqua. Può vivere anni e diventare sempre più grande, producendo in continuazione fusti sormontati da densi raggi di foglioline. È una pianta per cultori del verde, anche se richiede pochissime cure.

Kentia

Da sola è capace di arredare un’intera stanza. Questa palma si accontenta della mezz’ombra e di una costante umidità dell’ambiente. Può crescere fino a 3 metri di altezza, ma la sua crescita è lenta e ogni foglia nuova è salutata come un successo. Ciò non di meno, è facilissima da curare.

Filodendro

Tra le tante specie di filodendro, il selloum è forse il più originale. Le sue foglie, profondamente incise e ondulate lungo i bordi, le conferiscono un aspetto inconsuetoe piacevolmente diverso. Cresce fino a oltre due metri e ha solo bisogno di una posizione mediamente luminosa e di costanti nebullizzazioni sulle foglie.

Clivia_descrizione

La clivia

La clivia è una pianta erbacea perenne originaria delle zone tropicali dell’Africa, apprezzata non solo per la bellezza del suo fogliame, ma anche per i suoi gradevolisssimi fiori. Il nome deriva da Lady Charlotte Clive, duchessa di Northumberland (siamo nei primi decenni del 1800) alla quale fu dedicata dal botanico John Lindley, grande esperto in orticoltura e vivaista.
La clivia ha la particolarità di sviluppare un grande apparato radicale, formato da radici rizomatose molto spesse e carnose, che riempiono tutto lo spazio a loro disposizione, ma, contrariamente a quanto accade con la maggior parte delle piante, questo esalta la fioritura anziché limitarla.
Inoltre sviluppa da adulta molti polloni

basali che possono essere usati per moltiplicare la pianta, ma che, lasciati stare, conferiscono alla clivia un aspetto e una “presenza” decisamente importanti.
Le foglie si formano direttamemte dalle radici a formare due mazzi, uno opposto all’altro, e si sviluppano arcuandosi elegantemente fino a raggiungere anche il metro di lunghezza.
In primavera, dal centro della rosetta di foglie, cresce uno stelo che porta una vistosa infiorescenza costituita da fiori non molto grandi, ma coloratissimi.

Ogni stelo porta alla sommità un'infiorescenza formata da molti piccoli fiori che sbocciano in continuazione per circa due mesi. Tagliamoli man mano che appassiscono per facilitare la formazione di nuovi fiori. Al termine della fioritura tagliamo lo stelo alla base.

Sono di forma tubolare, ricadenti o diritti, in numero variabile da 20 a 60, per lo più di colore rosso o arancio, e, più raramente, gialli o arancio chiaro.
I fiori durano pochi giorni, ma vengono prodotti in continuazione, tanto che la fioritura dura per parecchio tempo conferendo all’ambiente un che di spettacolare.
Delle tante specie presenti in natura, possiamo più facilmente trovare la Clivia miniata, una pianta che non supera i 50 cm di altezza e che fiorisce dal tardo autunno fino oltre Natale, con fiori di un bell’arancio brillante. Non è difficile trovarla nei garden center e nemmeno
conservarla in casa, purché si seguano alcune semplici accortezze.

È importante proteggere la pianța durante il trasporto dalla serra a casa per evitarle sbalzi di temperatura. Avvolgiamola perciò nella carta di giornale o in un cartone.

Ama la temperatura di casa

Ama vivere con temperature nell’ordine dei 20-25° C; sopporta bene anche temperature superiori purché le sia garantita un’umidità elevata. Non tollera invece temperature sotto i 15° C. Se in casa dunque può stare a proprio agio per la maggior parte dell’anno, particolare attenzione dobbiamo avere quando l’acquistiamo e la trasportiamo a casa. Uno sbalzo di temperatura tra la serra o il garden center dove l’acquistiamo e la nostra abitazione può rovinarla facilmente.

Avvolgiamola perciò con carta di giornale o proteggiamola con un cartone durante il trasporto.

Quando a primavera la temperatura esterna si stabilizza sopra i 15°C, possiamo metterla anche in esterno, in una posizione luminosa non colpita dal sole diretto né dalle correnti. Si svilupperà velocemente.

La posizione e il terreno ideali

Sistemiamo la pianta in piena luce, ma lontano dal sole che può bruciarne le foglie. Ha bisogno di un ambiente normalmente caldo, ma teniamola comunque distante da fonti di calore che ne asciugherebbero velocemente la terra e l’aria circostante. Il terreno ideale è il terriccio di bosco: possiamo raccoglierlo direttamente durante le nostre passeggiate, oppure utilizzare un mix di terriccio universale e di terriccio per acidofile.

Consideriamo che questa pianta mostra di fiorire più copiosamente se rimane un po’ stretta nel suo vaso. Non preoccupiamoci dunque di rinvasarla subito dopo l’acquisto. Possiamo tranquillamente rimandare il rinvaso (eventualmente in una vaso appena più grande) dopo la fioritura. In seguito, facciamolo ogni tre-quattro anni.

Quanto e quando bagnarla

Se a pianta è in fiore annaffiamola con regolarità, dando poca acqua ma in modo costante perché il terreno ripaga sempre un poco umido. Durante il normale periodo vegetativo ci basterà bagnare, sempre con moderazione, solo quando la superficie del terreno appaia asciutta.

Da quando spunta lo stelo floreale fino alla fine della fioritura è utile fornire alla pianta un po’ di concime per piante da fiore, ogni due settimane in dose dimezzata rispetto a quanto normalmente prescritto.

Fiorita in inverno

Se l’acquistiamo ora, per noi o per un regalo, la troveremo probabilmente in boccio. La clivia generalmente fiorisce in primavera, ma se coltivata in appartamento inizia la fioritura già alla fine di novembre e dura per circa due mesi. In questo caso,  tagliamo i fiori appena appassiscono per stimolare la nascita di nuovi fiori. Al termine dalla fioritura tagliamo alla base lo stelo che li sorreggeva.

Puliamo regolarmente le foglie con un batuffolo di cotone imbevuto di acqua. Per lucidarle sciogliamo all'acqua del latte e un cucchiaino di miele. Non usiamo lucidanti fogliari.
Alla base della pianta si formano dei polloni. Possiamo utilizzarli per moltiplicare la pianta staccandoli e mettendoli in un nuovo vaso, oppure lasciare che crescano dando alla pianta una maggiore grandezza.

E non finisce qui

 Raccontateci la vostra esperienza, inviate commenti e osservazioni; potremo arricchire l’articolo.