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Radici

Di una pianta si ammira sempre la sua parte aerea, quella ovviamente più decorativa, il suo fogliame, i suoi fiori, persino il suo tronco. Ben poco sappiamo invece delle radici che la sostengono e la nutrono. Diamo per scontato che ci siano e che siano vigorose, ma concentriamo poi tutte le nostre attenzioni su ciò che vediamo, sia pure convinti che gran parte della bellezza e della salute di una pianta dipenda da ciò che rimane nascosto nella terra. E se da un lato ci dimentichiamo quasi della loro esistenza, per altro verso riconosciamo loro un’importanza superiore, tanto da parlare delle nostre origini, del nostro background come delle “nostre radici”.

Frutto del demonio

Nella cultura cristiana medioevale ciò che cresceva sotto terra non poteva che essere opera del demonio. Veniva perciò bandito e il suo impiego attribuito alle arti tipiche della magia nera. Le streghe, che spesso “pescavano” le loro conoscenze da altre culture, facevano ampio uso delle radici nei filtri più diversi; si pensi alla mandragola alla base di tutte le pozioni afrodisiache. Molte di loro sono entrate a ragione nella nostra farmacopea e le moderne erboristerie le propongono per infusi e tisane più diverse.

Molte radici sono addirittura entrate, sia pure molto tardi, nell’alimentazione quotidiana tanto da non riuscire a capire come si potesse fare prima in loro assenza (pensiamo alla patata, ad esempio).

Discrete e potenti

Ci accorgiamo di loro soprattutto quando le vediamo spingere in su l’asfalto delle nostre città, rompere i marciapiedi, incrinare i muri, smuovere i sassi di un muretto a secco, sgretolare il cemento. Restiamo affascinati, ma un po’ indispettiti, dalla loro forza quando cerchiamo di strappare delle erbacce dal nostro prato; con felice ammirazione quando mettiamo un rametto in acqua e vediamo la prima radichetta spuntare e allungarsi velocemente; con una certa inquietudine quando le troviamo nel pane di terra di un vaso in un’intricatissima morsa.

 

La radice primaria

Dal seme si genera la radice primaria; vale per una piccola erbacea annuale come per una gigantesca sequoia. La radice primaria si sviluppa, tecnicamente parlando, con geotropismo positivo, ovvero in direzione della gravità terrestre, in perfetta antitesi con la parte aerea. Da essa si generano poi le radici secondarie, le radichette e i peli radicali responsabili dell’assorbimento dell’acqua e delle sostanze nutritive dal terreno.

 

La radice si muove sotto terra secondo una logica evolutiva tipica della specie, sprofondando nel terreno o diramandosi e allargandosi fino a formare un’ampia base di sostegno. Si “muove” in base a ciò che incontra –sassi, terreno duro o asciutto– e in base a ciò che cerca, l’acqua e le sostanze utili per la pianta.

Il suo modo di procedere, solo apparentemente casuale, determina lo sviluppo maggiore o minore delle altre radici analogamente a quanto avviene nella parte aerea con i rami e le foglie. Questa analogia induce a pensare che una pianta disponga di due parti quasi speculari, una che vive sopra e una che vive sotto. Il baobab sembra confermare questa idea.

In realtà pare che nell’evoluzione delle piante, le radici occupino un tempo più recente rispetto ai rami e alle foglie. Potrebbero essersi formate come evoluzione del fusto per assicurare stabilità alla pianta prima ancora che per assorbire l’acqua e i sali minerali, funzione che è limitata solo al breve tratto della zona pilifera.

Questo, unitamente al fatto che il terreno è meno soggetto alle variazioni ambientali, spiega la relativa omogeneità delle radici nelle varie specie: per quanto diversa sia la parte aerea, le radici infatti hanno una struttura pressoché simile in tutte le piante.

Radici specializzate

I diversi ambienti in cui le piante vivono hanno indotto le radici di alcune specie a specializzarsi per assolvere meglio la loro funzione.

È il caso delle radici tuberizzate in cui la corteccia della radice si è specializzata per svolgere la funzione di riserva dell’acqua e delle sostanze nutritive che consentono alla pianta di sopravvivere anche in caso di prolungata siccità. Nell’Ipomea batata sono le radici secondarie a ingrossarsi, mentre nella carota o nella rapa è la radice primaria a svolgere questa importante funzione.

Tra le più interessanti vi sono le radici pneumatofore (foto qui sopra), proprie di alcune specie che vivono in ambienti acquitrinosi. Queste radici, contravvenendo alla regola generale, si spingono verso l’alto e dispongono di una superficie in grado di assorbire l’aria; infatti sono dette anche radici respiratorie.

Per sfuggire all’acqua salmastra ecco le radici della mangrovia che si sviluppano in modo da sollevare la pianta dalla superficie dell’acqua. 

Al contrario, le radici contrattili servono per interrare la base del fusto (come avviene nelle bulbose).

Un caso a se stante infine è rappresentato dai cosiddetti austori, radici tipiche delle piante epiparassite come lo sono il vischio e la cuscuta: sono fatte per inserirsi nella corteccia della pianta parassitata per assorbirne la linfa.

Poi ci sono quelle avventizie

Vi sono radici che non crescono dall’embrione e che si sviluppano direttamente dal fusto: sono le radici avventizie che, oltre ad offrire alla pianta maggiori possibilità di recupero dell’acqua e delle sostanze nutritive, favoriscono un particolare ancoraggio (si pensi all’edera).

Vi sono poi piante capaci di sviluppare radici da un fusto reciso: questo sistema di propagazione è detto talea oppure margotta se si fa radicare l’organo sulla pianta stessa. In questo caso manca la radice primaria, cosa che però non determina alcuna deficienza nella pianta una volta cresciuta.

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