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La curiosa evoluzione della fritillaria cinese

Conosciamo la fritillaria per essere una pianta bulbosa primaverile dai colori appariscenti: quella che coltiviamo noi nei nostri giardini è la Fritillaria imperialis con fiori penduli riuniti in ombrelle e dai colori che vanno dal giallo al rosso carico. Una specie particolare, la Fritillaria delavayi, che vive in Cina sui monti Hengduan è stata oggetto di particolari studi per la sua curiosa evoluzione a cui si assiste da alcuni anni.

A differenza delle nostre specie, la delavayi non è più alta di 30 cm e sviluppa una rosetta basale formata da tre-cinque foglie di colore verde brillante e da un singolo fiore campanulato, di colore giallo acceso che spunta una sola volta all’anno. Inoltre sono necessari cinque anni perché il bulbo, nato da seme, sia in grado di produrre un fiore. Il suo bulbo, molto piccolo, è utilizzato da oltre 2.000 anni nella medicina tradizionale cinese per trattare le bronchiti e in generale le patologie che colpiscono l’apparato respiratorio.

È una pianta che cresce in montagna dove trova il clima che le è più congeniale, freddo e asciutto. Spunta tra le pietre ed è per sua natura molto appariscente, proprio per attirare i pochi insetti impollinatori.

La Fritillaria delavayi impiega cinque anni a fiorire, un periodo in cui potrebbe essere raccolta interrompendo il naturale ciclo di vita della pianta. (foto di Yang Niu)

Un’evoluzione sospetta

Da alcuni anni si sassite a una curiosa evoluzione. Le piante presentano infatti delle foglie di colore marrone-grigio come se tendessero a mimettizzarsi con il terreno e le pietre circostanti. Anche il fiore, che nella specie originaria è di un bel giallo acceso, tendono ad essere sbiaditi, quasi verdastri e decisamente meno appariscenti. Una ricerca è stata allora avviata per cercare di capire i motivi di questa evoluzione sospetta che porta la pianta ad essere difficilmente individuabile. Lo studio, condotto dal Kuming Institute of Botany (Accademia cinese delle scienze) ha avviato la sua ricerca prendendo in considerazione la possibilità della pianta di sfuggire ai possibili predatori. L’osservazione ha però presto cocluso come non vi siano erbivori in quantità tale -e superiore alla normale presenza- da giustificare una evoluzione del genere. Gli animali presenti inoltre mostrano di disdegnare questa pianta.

Inquinamento o altri fattori normalmente presi in considerazione sono stati ben presto scartati per concentrarsi sull’unica plausibile causa: l’eccessiva raccolta da parte dell’uomo.

Dove la raccolta è sistematica e intensiva, la pianta modifica il colore delle foglie per mimetizzarsi con il terreno circostante e risultare così meno appariscente. (foto di Yang Niu)

Il principale predatore

La Fritillaria delavayi è stata oggetto di raccolta e utilizzata in medicina per almeno 2.000 anni, ma la domanda in costante aumento e l’offerta insufficiente hanno innescato una sorta di caccia al tesoro. Il prezzo per un chilogrammo (2,2 libbre) dei bulbi della pianta, la parte della pianta utilizzata in medicina, è superiore ai 500 $. Ogni bulbo ha le dimensioni di un’unghia; per ottenerne un chilogrammo sono necessarie più di 3.500 piante singole.

Questa specie d’altronde cresce solo in montagna in condizioni difficilmente replicabili in un vivaio. Inoltre i consumatori sono convinti che le varietà selvatiche siano migliori, anche se non c’è alcuna prova che lo confermi. 

La ricerca

La ricerca, avviata nel 2011, ha inizialmente avuto come obiettivo quello di studiare come veniva impollinata la pianta che presenta un’altra curiosità: i fiori di un anno sono prevalentemente maschili, ma diventano sia maschili sia feminili negli anni successivi. Per lo studio sono state etichettate le piante all’interno di una determinata area; ma il primo tenatativo è stato miseramente vanificato dalla raccolta indiscriminata che ha visto sottrarre tutte le piante oggetto dello studio.

Il cambiamento di colore delle foglie e dei fiori doveva, secondo Yang Niu, uno degli autori dello studio, “essere indotto da una forte forza selettiva”.

E l’unica forza in gioco era la raccolta operata in modo sempre più massiccio dall’uomo.

Per testare questa teoria, i ricercatori hanno prima consultato gli erboristi locali che avevano sei anni di registrazioni che mostravano dove erano cresciute le piante e quante erano state raccolte. Hanno determinato quali aree erano già pesantemente raccolte e di più facile accesso, rispetto a quelle nascoste in terreni rocciosi e montuosi. Usando uno strumento chiamato spettrometro, che misura le lunghezze d’onda della luce per determinare il colore, hanno misurato il colore delle piante in luoghi diversi e hanno trovato una correlazione tra quanta popolazione era stata dissotterrata in un dato punto e il colore di un fiore.

Nelle zone meno accessibili dove si recavano pochi umani, le piante erano ancora di un bel verde brillante e il fiore era giallo, ma in luoghi in cui i bulbi venivano raccolti in numero elevato, i colori stavano diventando più sbiaditi.

I ricercatori hanno persino creato un gioco, “Spot the Plant”, per testare la facilità con cui si possono trovare piante mimetizzate. Quando ai volontari è stato chiesto di identificare la Fritillaria delavayi tra rocce e terra, è risultato evidente come fosse necessario molto più tempo per individuare esemplari con colori meno vivaci.

La selezione naturale

Accettando l’assunto che sia l’uomo la causa di questo cambiamento, in che modo la raccolta di questi bulbi indurrebbe la pianta a cambiare colore e a mimetizzarsi? Lo studio afferma che l’uomo raccoglie le piante più visibili e lo fa tanto intensamente da limitare drasticamente la possibilità per le piante di concludere il loro naturale ciclo di vita e quindi di moltiplicarsi. La pianta impiega cinque anni per riprodursi, il che significa che tutte le piante verde brillante potrebbero essere raccolte prima che abbiano la possibilità di trasmettere i loro geni colorati. Entro una o due generazioni, una popolazione di piante in un’area altamente trafficata potrebbe avere un patrimonio genetico con DNA prevalentemente grigio e marrone, con superiori possibilità di moltiplicarsi e quindi di trasmettere le sue caratteristiche.

Il fatto che l’uomo possa influenzare l’evoluzione delle specie non è nuovo: è già stato osservato sugli animali. Il merluzzo atlantico e il salmone rosa, ad esempio, oggetto di pesca intensiva, hanno ridotto le loro dimensioni standard. Poiché sono raccolti in reti, quelli più piccoli sono in grado di sfuggire, mentre quelli più grandi hanno meno probabilità di sopravvivenza. Col tempo quindi, l’intera popolazione tende a restare più piccola. Analogamente, anche il Ginseng americano, oggetto di raccolta intensiva negli Stati Uniti orientali, è diventato col tempo più piccolo e meno appariscente.

Fritillaria

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